Una lastra di vetro. Liscia, come tutte le lastre di vetro.
Una notte di pioggia incorniciata dal legno scuro.
Una goccia che scivola giù. Scende, rallenta, sembra che si fermi, riprende.
Potrebbe essere una lacrima.
Bel pensiero profondo, adeguato al momento e allo stato d’animo. Che non è depresso, no. Magari.
Com’è che diceva, quello? Quando hai toccato il fondo, cominci a scavare. Ecco, è così che mi sento. E sto scavando da un bel po’, anche. Saranno tre mesi.
Sono, tre mesi.
Verso le cinque, più o meno. E di martedì, come oggi.
Da quando mi ha guardato in faccia di sfuggita, ha guardato appena i fiori patetici che avevo strappato via di corsa dal giardino per arrivare in tempo a prenderla all’uscita dal lavoro, tenuti alla bell’e meglio da un pezzo di spago trovato per caso. E mi ha detto che era finita.
E il torrente continuava a scorrere lì vicino, e le macchine a passare, e lei aveva quei leggings che le stavano così bene e quegli occhi così crudelmente azzurri.
E la lacrima sulla lastra di vetro è arrivata alla fine, contro lo stipite di legno scuro. Perché anche le lacrime finiscono, prima o poi.
©Euro Carello, 2020