Nella puntata precedente:
D’un tratto Rattazzi ha un’illuminazione: si accorge, dopo averne a lungo decantato la bellezza, che il mio appartamento non si trova in un tranquillo atollo sulla scogliera corallina, ma in una rumorosa e inquinata metropoli. L’aria è invivibile, meglio spostarsi nell’hinterland dove, mi spiega, la differenza con l’atollo si nota molto meno. Sarà sincero o potrebbe essere interessato?
DI FACCE DA SCEMA, DI PROPOSTE INDECENTI E DI GOLEADOR
– Episodio 4 –
Lombroso ha fatto più danni di quanto pensiamo. Ci divertiamo a dire «Tizio ha gli occhi da assassino», «Caio ha la faccia da prete», «Sempronio, con quel viso, è di sicuro un calzolaio», ci sentiamo simpatici e spiritosi, ma non lo siamo. Perché si fa la battuta, ma, sotto sotto, ci si crede. Non tutti, ma qualcuno ci crede. Lo dice una con la faccia da scema since 1986. Io con la faccia da scema ci sono nata e ci convivo da tre decadi. So cosa vuol dire avere la faccia da scema. So cosa vuol dire quando la gente ti crede cretina perché hai la faccia di una che in spiaggia scrolla l’asciugamano controvento e si stupisce quando si ritrova impanata come una cotoletta.
Quando ritiro una raccomandata il postino mi indica col dito dove devo firmare, ci schiaffa su il pollice e mi spiega che la scritta «Firma qui» non l’hanno messa per estetica, ma perché -attenzione, attenzione!- devo firmare proprio qui.
Quando la portinaia lava le scale, mette il cartello «Pavimento bagnato», ma se mi vede si sente in dovere di spiegarmi di stare attenta, perché -come suggerisce l’avviso- il pavimento è bagnato.
Quando chiedo a zia la ricetta delle crepes, lei si preoccupa di spiegarmi che l’albume è la parte bianca dell’uovo, «impara le parole difficili!» mi dice.
E se accolgo con un sorriso le attenzioni compassionevoli di postino, portinaia e zia, respingo senza sorridere troppo i tentativi di frode da parte di venditori e commercianti che, vedendo la mia faccia da scema, provano a fregarmi. È triste, ma ci sono abituata: se hai la faccia da scema, la gente ti tratterà da scema.
Lo so. Ma tu, Rattazzi, stai esagerando. A parte che siamo uno di fronte all’altra, abbiamo parlato a voce tutto il tempo, perché ora disdegni in questo modo la tradizione orale e decidi di comunicare a pizzini come Provenzano? A parte che, a occhio, la somma mi sembra bassina. Potrei sbagliarmi eh, io non so dare un parere tecnico e di commercio capisco poco e niente. Però, insomma, con quell’importo ci compro un bilocale nell’hinterland di Isernia, non una villa a Cologno Monzese.
Ma il punto, Rattazzi, è un altro. Il punto, caro UomoCravatta, è che non puoi credermi così cretina. Sul serio, pensi che me la beva? Cioè, dovrei credere a una valutazione del mio immobile fatta così? Non mi hai neanche chiesto -che ne so!- se all’appartamento sono legate delle pertinenze, se ho cantina, garage o solaio, se è termoautonomo o centralizzato, non mi hai chiesto la classe energetica, Rattazzi, sul serio?
L’Azzecca Garbugli dell’immobiliare milanese mi guarda con un sorriso sornione, si aspetta che dica qualcosa di consono al mio viso, qualcosa come «con tutti questi soldi ci compro un sacco di goleador!» o «posso averli in monetine così sembrano di più?»; rimane deluso dal mio silenzio, forse è in leggero imbarazzo, si sente in dovere di spiegarmi che, insomma, quello è il valore dell’immobile, poi bisogna valutare tante cose, non è detto che riuscirà a venderla per quella cifra, ma vale la pena provarci. Io guardo lui, poi guardo Alice. Lei non ricambia lo sguardo, tiene gli occhi bassi. Guardo di nuovo lui, lui annuisce per sollecitare una risposta. Seguono attimi di tensione che manco Sergio Leone sapeva creare. Mi schiarisco la voce e sfodero un sorriso da pubblicità della Mentadent, mi manca solo la mela verde e lo spazzolino griffato. Ringrazio, «spero di non avervi fatto perdere tempo» dico «io mica voglio vendere». Rattazzi accusa il colpo con eleganza, non lo dà a vedere, «ci mancherebbe, è un piacere!» risponde e mi lascia una brochure, il suo biglietto da visita e il pizzino con la somma inventata.
I due escono, io chiudo la porta e vado a guardarmi allo specchio: in effetti, la faccia è proprio da scema.
(To be continued…)
© Chiara Munda, 2017