Swiiiish, Zap
Gemiti
Swiiiish, Zap
Mugolii sommessi
Respiri veloci e pesanti
Swiiiish, Zap
«Mio Dio!»
«Ti ho detto che te devi sta’ zitto. Obbedisci al padrone, topo di fogna»
Swiiiish, Zap
«Eh Madonna, che male!»
«Zitto imbecille!»
«Eh no, imbecille no…»
«Come imbecille no? Dica, me faccia lavorà.»
Swiiiish, Zap
«Ma porc…»
«Soffri e taci!»
Swiiiish, Zap
L’ometto ha lo sguardo puntato sul suo polso destro, legato con un collant alla spalliera del letto. Anche il sinistro è costretto sotto lo stesso giogo ma egli non può girare la testa, a causa della cervicale,
quindi è fermo in quella posizione da quaranta minuti.
Swiiiish, Zap
Le scudisciate fendono l’aria prima di colpirgli la schiena e in quei pochi secondi, l’uomo sente già irradiarsi in tutto il corpo l’eco dello strazio della cinghiata. Cerca di trattenere le urla, da vero uomo,
mentre il suo carceriere, ginocchia sul letto accanto ai suoi fianchi, inarca metodicamente la schiena per infliggere colpi sempre più violenti.
Swiiiish, Zap
Mugolii
«Oh cazzo, cos’è quel sangue sul cuscino?»
«Mi sono morso le labbra per il dolore!»
«E allora quella federa me la devi pagare, ma che diavolo!»
Swiiiish, Zap, Strap
Un lembo di pelle è venuto via dalla schiena dell’uomo legato al letto, per la violenza del colpo. Egli resta immobilizzato per una frazione di secondo, in tragica attesa dello scoppio del dolore che stavolta sarà molto più intenso, a giudicare dal rumore della cinghiata sulla pelle. Puntini rossi cominciano una lenta nuotata davanti alle sue pupille, poi scoppiano, uno ad uno, mentre l’attesa del dolore lo riempie di sgomento ed ecco il bruciore: una fiammata sulla pelle nuda, nervi scoperti a contatto col piombo fuso.
«Maledizione, che male!»
«Oddio, zitto, zitto, ché ho fatto un movimento brusco, oddio la spalla!»
«Ma infatti, sto andando a fuoco, vacci piano con queste frustate»,
«Ah, quindi vuoi insegnare il mestiere a me? Vermiciattolo strisciante, ti ricordo che sei tu lo schifo umano legato mani e piedi come un salsicciotto. Se voglio ti cospargo di benzina e ti do fuoco veramente, ti faccio frappè.»
«Pardon?»
«Ti appiccio, ti coso, ti faccio prendere fuoco…»
«Flambé?»
«Come embè? Ciccio, io ti spezzo le braccia, ti sego le gambe, ti rovino la cervicale…»
«Oddio no! La cervicale no, non mi toccare il collo, neanche per finta, per l’amor del cielo!»
«Ma pure tu dotto’? Santiddio che dolore la cervicale, non riesco più a lavorare. Sono stato dal medico di base, due ore d’attesa, poi mi manda dall’ortopedico che subito me fa quella mossa, quella brutta
al collo, dico ahia! Ma che se fa così? Senza preavviso? Poi me butta sopra al lettino e m’empasta come ‘na plastilina, un male, dotto’! Dico, va a fini’ che ‘sto medico me vo’ rubba’ er mestiere…»
«Basta cribbio! Va bene le cinghiate, ma questi racconti da sala d’attesa no, è veramente eccessivo».
«Scusa dotto’. Allora. Sì. Verme schifoso, stai zitto, devi subire, devi vomitare dal dolore, mi devi pregare come la Madonna di Pompei».
Swiiiish, Zap
Gemiti. Mugolii, «E no, però, la Madonna di Pompei perché? La blasfemia no».
«Scusa dotto’. Me devi implorare, sono il tuo Duce, chi ti frusta e ti conduce?»
Swiiiish, Zap
Gemiti «iiii duuuugneee»
«Chi? Non ho capito, verme. Chi?»
Swiiiish, Zap
Urla soffocate «iiiidduuuuuugeeee aaaahhh»
«Non capisco, maledetto schifoso. Chi?»
Swiiiish, Zap
Urla strazianti, «il Duce, porco diavolo, il Duce!»
«Oh, vedi che quando vuoi, sei capace!» il figuro alza il braccio che aziona la frusta, l’omuncolo lo vede con la coda dell’occhio mentre un rivolo di sudore acido gli cola sulla pupilla e lo costringe a strizzare le palpebre. Si prepara a un nuovo, terribile colpo, ma l’aggressore si ferma e fissa qualcosa con attenzione, sta guardando il proprio braccio.
Sono momenti di tremenda incertezza.
Il fustigatore, tuta di latex che tiene scoperte solo le terga, morbide e appassite come le guance di un San Bernardo; il fustigato, nudo come un pulcino implume, braccia legate alla spalliera del letto,
caviglie unite da uno spago, ginocchia puntate sul materasso, schiena inarcata e culo per aria.
«Che facciamo dotto’? Un’altra mezz’ora?»
«Ma come? È già finita l’ora?»
«E sì. Però, se vuole gradire, ho la prossima libera. Poi mi arriva uno delle Infrastrutture, un pezzo grosso, prenota con due settimane d’anticipo, non posso spostare l’appuntamento», il fustigatore è quasi imbarazzato.
«Ma no Carinzia, stai tranquillo, non resto, anzi, mi devo pure sbrigare. Quanto ti devo?»
Il fustigatore sguscia fuori dalla tuta e si siede ai piedi del letto, massaggiandosi la spalla dolorante, «fa 50 per l’ora, più 20 la tuta».
«Ma come 20? È una tuta pezzotta, chissà quante ne avrai di queste cosette…»
«Piano dotto’, innanzitutto questa non è una tuta qualsiasi perché mi aveva chiesto un indumento simile a quello di Casalino a “Buona Domenica”, e non creda che sia così facile da trovare. Seconda cosa,
questo optional lo chiedete solo lei e un paio di clienti del Ministero della Famiglia, se considera che dopo due utilizzi lo devo sostituire perché puzza…»
«Va bene, va bene. Ti pago, ci mancherebbe. Però sbrigati con la fattura che devo veramente correre».
Mentre l’onorevole si infila i pantaloni, Carinzia prepara il documento, continuando a massaggiarsi la spalla, «dotto’ è dura, ci stiamo facendo vecchi».
«Parla per te Carinzia. Ma invece, dimmi un po’, chi sono quelli del ministero della Famiglia? Dai, sono curioso».
«Non posso dire nulla».
Carinzia si avvicina all’onorevole con fare cospiratorio, i testicoli mosci sdraiati a due centimetri dal cliente «però, uno è una donna, un pezzo grosso. Oh, io non ho detto niente».
L’onorevole si sente scosso da un brivido e si ripromette di rimuovere quel dialogo dalla memoria.
«Senti, ho solo un pezzo da 100, lascia stare il resto, regoliamo martedì prossimo, va bene?»
Carinzia raccoglie al volo la banconota lanciata in aria dall’onorevole e lo osserva con curiosità mentre corre verso la porta, allacciandosi la cintura dei pantaloni, «dica, dotto’, ma che è ‘sta fretta?»
«Scappo Carinzia, scusami, ho un celerino che passa tra poco qui davanti, proprio all’ingresso del ministero. Oggi trasportano in tribunale due senegalesi in attesa di giudizio. Se mi sbrigo riesco a
sbirciare dentro mentre li pestano. È un’intima gioia. Ciao Cari’!»
©Ale Ortica