Gea Polonio (GEO-RAPTOR) Raffaele Rutigliano
Un racconto delocalizzato e incontrollabile
Le sei del mattino del venerdì sono un posto faticoso in cui essere. Se poi ci metti che le sei non sono uguali per tutti allora esserci diventa una mattina d’inverno.
Sarebbe soprattutto un venerdì, se non fosse che domani, sabato, ho un’ora di trasporti + quattro ore di corso (insegno i miei sbagli in un teatro di periferia) + un’ora per tornare a casa.
Mettiamola così: ne approfitterò per fare la spesa al ritorno.
E adesso relax, rimandando qualunque meditazione seria (Tsipras, soldi, trend personale e generale) a domani pomeriggio, dopo il teatro, dopo il ritorno, dopo la spesa.
Sorry, amica mia, non sono più seria e solida come prima. Ho tanto da fare, da dimostrare che in questa casa, in una serata d’inverno, è stato diffuso il seguente comunicato:
“Compagni, coinquilini, in casa nostra abita un topo.” Ma non di quei topi da laboratorio o biblioteca, un topo. E se dico topo, è uno di quei topi topi, che a guardarlo saliresti sul tavolo per appenderti al lampadario pur di sfuggire al suo sguardo terrorizzato. Verrà, poi, di metterci in discussione su chi tra noi avrà l’amaro compito di disfarsene, se con trappola ortodossa o con il mezzo capitalistico della chiamata all’impresa di derattizzazione. A ogni modo, per il momento, ognuno si regoli come vuole. Inoltre, tenete presente che il TOPO ha una passione smisurata per i bottoni. Il mio cappotto ne ha persi tre in meno di una settimana.
Ed ecco cosa è successo mentre andavo in teatro: il primo tratto è rigorosamente a piedi sino alla fermata di San Spiridione, la chiesa serbo-ortodossa che sta sul canale, lì il cappotto, quello di cui sopra, mi si è aperto con la prima folata triestina. Per ovvie ragioni non ho potuto nascondere le gambe al Pope che mi era di fronte. Non erano certo presenti cento persone a constatare il mio lato femminile, ma posso assicurarvi che novantanove ce n’erano. Sempre il Pope davanti, eh. E ringrazio il topo per la sua delicatezza nel mangiarsi i bottoni.
A pensarci bene amo questo topolino. Gli amori veri hanno poche parole e poche lettere, quattro per l’appunto: T O P O, anche quando non ci sono più, o non li vedi più. Quegli amori da letto o per tutta la vita. Gli amori nascosti o quelli da vedo non vedo. Sono una tipa da sapone nero e mop superstrizzabile. Il mio tatto mi porta a reclamare: velocità. Ma in alcuni casi sono inglese: “I have no mockings or arguments; I witness and wait.”
NE SONO TESTIMONE, ma anche tu amica mia lo sei, mi conosci bene.
In alternativa mi farò una birra, una doccia, e non uscirò fino a lunedì mattina. Se dormirò più di otto ore sarò incerta se segnarla al risveglio come data storica, o se forse sarà il caso di chiamare urgentemente la guardia medica.
Il problema è che sono io che sono lenta, non particolarmente intelligente e di molto fuori. Ma forse nell’altro giardino.
Il giorno che vorrò farla finita
non scaricherò responsabilità sul mondo.
non sarà colpa di chi non mi ha capita
di ex, di genitori o della vita
o di quell’universo a tutto tondo
che dalla nascita mi ha condizionata.
sbatacchiata e sfranta dalle onde
di uno tsunami del tutto incontrollabile
mi lascerete almeno nel finale
il merito di una scelta vagabonda
e mia, profondamente personale?
© Gea Polonio e Raffaele Rutigliano