Succo di Tenebra che Goccia – Gianni Venturi | Nel Torbido – Paolo Spaccamonti

Queste righe prendono forma nei giorni di metà gennaio, quando delle feste rimane solo l’eco in
stanze vuote e il camino disegna ombre più che scaldare. Le giornate cupe costringono a guardare
da dietro i vetri un mondo che stagione dopo stagione assume forme sempre più irriconoscibili.
Arrivano e si sa questi giorni infiniti in cui le assonanze con il tempo fuori diventano più forti e si
sa che lo scorrere inesorabile del tempo li rende sempre più cupi. È l’inevitabile resoconto che la
vita chiede a colui che vive avendo coscienza di sé e ha il coraggio di osservare dentro e fuori di sé.
Queste giornate arrivano e non si possono evitare e allora è meglio assecondarle, lasciarle scorrere e
viverle intensamente come fossero un rito catartico a cui non ci si può sottrarre.
Viverle nella solitudine di una stanza in compagnia degli amici di sempre: un libro, un disco e un buon bicchiere di whisky. Le scelte non possono essere frutto del caso ma devono assecondare lo stato d’animo e aiutare a capire quel poco che si può di quello strano meccanismo chiamato vita. Scelte che alla fine
aiutano a sentirsi meno soli in un mondo che ormai da tempo gira al contrario.
Il libro che consiglio di procurarsi, non è in vendita ma l’autore potrebbe averne ancora delle copie, è Succo di Tenebra che Goccia di Gianni Venturi. Una silloge di poetica che graffia il nostro tempo infausto anche se a sanguinare è solo l’anima del poeta e di chi legge. Uno dopo l’altro scorrono e scavano i versi in un passato remoto e danno volti e voci alle ombre, alcune rievocate dolcemente altre perse per in
uno spietato presente. E se le malinconie dello scorrere del tempo sono naturali, lo sono meno
quello per un presente soggiogato al più becero dei capitalismi che tutto annienta. Una solitudine
rabbiosa che trova conforto nel ricordo e nell’Amore, inteso nelle sue molteplici e variegate
sfaccettature, che è l’unica fiamma che tiene viva la speranza.

Le farmacie, gli ospedali, cattedrali, buie officine della vita,
aggiustano corpi che si spengono spazzati da un vento che
non perdona, il dio dei pezzi di ricambio non ha pietà,
cantano il falegname, il muratore, l’idraulico,
ma la casa, desolata, oramai, inerte crollata.

Ci si sente meno soli nel leggere queste liriche e meno soli all’interrogativo che il poeta pone:

[…] quale scelta ha il poeta? Descrivere l’umanità fangosa?
O ricordare l’immensità della stella del mattino
con il verde brillante dell’erba e mare sognante di marea grondante,
dove deve riversare il proprio silenzio urlante?

Al senso d’impotenza che si prova nel vedere un’umanità divertita mentre viene stritolata da beceri
meccanismi economici e sociali, fa spesso eco un senso di solitudine e disagio interiore frutto di
quello che la vita ha riservato e riserva ad ognuno di noi. È in questo momento che la poesia lascia
il posto alla musica, arte senza mediazione di pensiero e dal magico potere evocativo. Il disco che
ho scelto per accompagnare questi strani giorni è Nel Torbido del chitarrista torinese Paolo
Spaccamonti
. Il titolo e la splendida foto in B/N in copertina rispecchiano chiaramente il
rincorrersi e il confondersi dei pensieri. Pensieri che si legano e slegano seguendo quello che sono
le note di un folk scuro intriso di elettronica che evoca più di tante parole. La title-track con il suo
incedere lento scava nella memoria facendo riemergere tutte le contraddizioni, i rimpianti e i volti
che il Tempo ha tatuato nella nostra anima. Fotogrammi che richiamano il paesaggio in continuo
movimento immortalato nella foto di copertina. Volti e situazioni che assumono in Salina anche
l’eterea dolcezza del ricordo malinconico, quello che per intenderci disegna i volti di chi non è più o
di una giovinezza ormai lontana. Ha ragione la notte, brano impreziosito dalle note del violoncello
di Julia Kent, chiude l’album più introspettivo del compositore torinese. La notte ha ragione,
uniforma tutto e quel che resta quando le parole si spengono e le note smettono di suonare sono i
sogni e le speranze che danzano sull’orlo di un bicchiere.
©Fortunato Mannino

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