Solo un momento al tramonto
Il sole al tramonto, la primavera è un inizio d’estate. La luce radente costruisce la scultura di un attimo: un rettangolo per il campo, uno per il cielo, il cerchio del sole, i triangoli degli alberi. Le linee verticali su quelle orizzontali: un angolo della bassa in pace con il mondo. Il cielo è addomesticato da un cavo dell’alta tensione che affetta un azzurro variegato da nuvole bianche e inconsistenti che non portano pioggia.
Lo sguardo scavalca l’avena selvatica, con le sue spighe di carta color crema e si stende all’orizzonte, largo nelle onde di grano invase dal sole. Forse è orzo, ma in quel punto l’occhio non distingue, è pieno di luce. Un sole africano è seduto sulla linea dell’orizzonte e dilaga come fa ogni giorno sul pelo dell’acqua di tutti i mari. Unici spettatori: gli alberi sullo sfondo, soli, in ombra, sembrano tacere, davanti a questo incanto.
Sotto gli alberi un uomo. E’ steso. Gli occhi chiusi, le braccia rilassate lungo i fianchi, la testa piegata da un lato – solo un po’ – sulle foglie. Il sole del tramonto gli lambisce i piedi, liquido. Poco distante un bambino gioca: le gambe nella tuta rossa – troppo larga – s’intravedono, magre. Il biondo dei capelli si scurisce al centro del capo, in una cresta sbilenca lucidata dal gel. Il bimbo si volta, corre di scatto, si mette a cavalcioni sull’uomo, allunga una mano paffuta sulla sua bocca. L’uomo apre gli occhi, sobbalza, si raddrizza sulla schiena. Ora il bambino è fra le sue braccia.
– Pensavo fossi morto. Pensavo te ne fossi andato anche tu.
Il celeste degli occhi diluisce in un’onda di lacrime, incontenibile. Si alza il vento.
L’uomo prende la mano paffuta del bimbo e la bacia sui palmi. Solletica la pelle morbida con i baffi, poi soffia, sbuffa come farebbe un cavallo.
– Vedi? Non sono morto, mi stavo solo godendo la luce del tramonto.
Si abbracciano. Il bambino gli si aggrappa, serra le gambe, preme forte le ginocchia.
L’uomo sorride, ma nel bruno degli occhi ha la stessa tristezza del piccolo.
– Le nostre mani hanno la stessa forma, nonno – osserva il bambino, appoggiandole palmo a palmo. Le unghie s’incastonano nello stesso modo: venti mandorle di grandezze diverse. Il bambino ha ragione.
– Voglio essere uguale a te. Voglio essere tuo figlio. Ora papà pensa solo al suo nuovo bambino.
– Tuo papà è mio figlio.
– Tuo figlio non mi vuole più.
Il sole si tuffa nella sera, il raggio verde occhieggia, solo un momento al tramonto, ma nessuno gli bada.
L’uomo intreccia le dita della mano destra con quelle tozze del nipote, poi le distende. La mano del bambino è più piccola del suo palmo. L’uomo la stringe, la chiude stretta nel suo pugno. Forte.
© Anna Martinenghi