MAKE me UP
Mi è sempre piaciuto questo lavoro. Più che un lavoro, una passione, fin da piccola.
Quel poco di rossetto e quel filo di trucco che mia madre si concedeva di rado, solo nelle occasioni speciali, esercitavano su di me un fascino irresistibile. La mamma era bellissima quando si truccava. Era un’altra mamma.
Sul suo volto sbocciavano le labbra, disegnate dalla lacca del rossetto, come se un attimo prima non le avesse nemmeno avute. Ora erano lì, lucide, carnose, un timbro per i baci. Mi piaceva moltissimo rubarne uno e passare il resto della domenica con la sua bocca tatuata sulla guancia. Gli occhi, bistrati con il kajal nero, mi ricordavano le immagini degli Egiziani sul libro di storia. Ecco, ero la figlia di Cleopatra!
I gusci lucidi dei cosmetici, le polveri impalpabili, i piumini per la cipria mi attraevano quanto i gesti magici del dipingere. Così, quel rito antico e misterioso del trucco, della maschera, che ci rende ogni volta diversi pur continuando a rimanere noi stessi, diventò il mio lavoro.
Credo sia un privilegio fare il mestiere che ci rende felici. Non avrei potuto chiedere di meglio. Perfino quando mi proposero questo incarico, fui entusiasta. In fondo, un volto è un volto anche da morto. L’ho sempre vissuta come una missione; restituire un’immagine dolce e composta a visi straziati dal dolore o offesi negli incidenti, donare un ultimo ricordo degno di queste persone ai loro cari. E poi i cadaveri restano immobili e questo è davvero un vantaggio per la riuscita di un buon trucco, la pelle è ben tesa e il risultato finale è spesso superiore a ogni aspettativa. Chissà, forse anche questo ha a che fare con gli Egiziani, con l’ultimo viaggio.
Lo scoprirò presto.
Prima, però, vorrei tanto potermi guardare allo specchio. Vorrei sapere come mi ha truccato questa ragazza, ché le tremavano un po’ le mani.
Deve essere una nuova.
©Anna Martinenghi
molto bella anche questa nuova storia in minigonna! le leggo sempre con molto piacere.
MishA 🙂