A svegliarmi è il silenzio. Assoluto, perfetto. Troppo perfetto. Niente sferragliare di tram, niente urla di ubriachi o stridere di freni. Un silenzio assordante, che non so perché, ma mi angoscia. Aguzzo le orecchie, ma dalla strada nessun suono, neanche il frusciare del monopattino di qualche nottambulo o il rombo di una moto. Solo un pazzesco mal di testa da dopo-sbronza che mi scava e mi rimbomba dentro. La vodka. Cazzo, che botta. Sono ancora rintronato. Però bella, la festa in maschera, niente da dire. Spalanco gli occhi e mi guardo intorno a scatti nervosi, peggiorando il dolore. Il vago chiarore del lampione dalla finestra mi permette di distinguere l’armadio, il costume appallottolato ai piedi del letto, la macchia bianca delle mutande sulla sedia, il rettangolo buio della porta aperta sul corridoio.
Resto immobile, le braccia lungo i fianchi ad ascoltare il nulla, mentre il silenzio si allarga, mi cresce dentro, mi soffoca. Ignoro le fitte alla testa e cerco di reagire, scatto, allungo un braccio e mi alzo in ginocchio, la faccia contro la testiera, l’orecchio alla parete. Mi sento un po’ ridicolo, ma lo faccio lo stesso. Cerco il solito russare del vicino di là dal muro. Niente.
Quando allungo il braccio e faccio cadere la bottiglietta dell’acqua dal comodino, il cuore sembra che mi si fermi. È mezza piena, deve aver fatto un bel tonfo, ma non ho sentito nulla.
Mi lascio ricadere sul letto, angosciato. Neanche lo sguisc delle braccia contro il lenzuolo. Batto un pugno sulla parete, come faccio quando il russare del vicino è troppo forte. Sento il colpo sulla mano, ma nessun suono. Il sudore ghiacciato mi scorre sulla fronte, un brivido mi sale per la schiena e mi spavento davvero. Sono diventato sordo. Improvvisamente, completamente.
Non riesco a crederci. Apro e chiudo con violenza il cassetto del comodino, prendo il libro abbandonato sul letto, lo lancio contro il muro e colpisco l’abat-jour, che crolla e sparge frammenti di lampadina.
Tutto senza il minimo rumore.
Ormai l’angoscia mi sta mangiando vivo. Gemo, percepisco le vibrazioni in gola, ma il gemito non lo sento. Ansimo e non mi sento il respiro. È pazzesco. Ho il cuore a mille e voglia di urlare, poi mi ricordo del cellulare. Lo arraffo dal comodino, con le dita tremanti imposto il timer a tre secondi. Il quadrante si illumina beffardo, sento la vibrazione, ma non la suoneria. Lo lascio andare come se scottasse, chiudo gli occhi, cerco di riprendere il controllo, mi dico che è assurdo, che sarà un fatto momentaneo, ma tremo sempre più forte. Il pigiama si alza e si abbassa al ritmo del respiro, ma non sento nessun fruscio. Posso chiamare il 118, ma come li sento? Posso urlare nel microfono, ma non sentirei nulla di quello che dicono.
La testa continua a pulsare, il cuore stantuffa sempre di più, mi viene da piangere. Com’è possibile. Adesso come faccio, cosa faccio. Stringo i pugni e gli occhi, cerco di pensare.
Ieri sera ero troppo sbronzo, non ho avuto voglia di togliermi quel cazzo di trucco da zombie, ho rivoli neri che mi scorrono sulle guance. Mi ripulisco alla bell’e meglio con le mani e la manica del pigiama. E mentre mi stringo con rabbia i capelli a formare una coda alla come viene, tocco l’orecchio destro.
C’è qualcosa, dentro.
Mentre l’indice scava, in una vampa di calore mi ricordo tutto. Le mie lamentazioni sul vicino che russa e non mi fa dormire, quell’idiota di Stan e le sue scoperte alla fiera dell’elettronica di non so dove. ‘Non sono i soliti tappi di cera, ma un prodotto elettronico che genera una sorta di contro-rumore’. In pratica, il silenzio.
Come ho fatto a dimenticarmene. Idiota. È stata la vodka, certo. Ma è l’ultima volta, giuro, mai più. Le fitte alla testa continuano, ma le ignoro: annaspo, tiro, scavo con le unghie. I maledetti sono piccoli e ficcati bene in fondo, ma alla fine me li strappo dalle orecchie. E sento distintamente il toc quando toccano il parquet.
Mi scappa un singulto che sembra il gracidio di una ranocchia. Scivolo a sedere sul pavimento freddo, appoggio la schiena al letto e comincio a ridere.
© Euro Carello, 2021