DIECI/16
Pochi giorni fa mio figlio ha compiuto cinque anni. È a lui che nel 2011 ho dedicato il primo romanzo. Per lasciare ciò che spesso a parole non si dice: un messaggio che andasse oltre la figura di padre. Un insegnamento profondo dal quale far trarre le visioni.
Queste “visioni” sono personali, nessun autore o scrittore può offrire chiavi di lettura. Offre solo storie su un piatto, che non è d’argento – come qualche pigro riterrebbe –, ma è della materia più blanda che raramente si trova in giro: la parola degli altri. Merce rara da scambiare con preziosi o stole di seta.
In verità, nessuno appartiene a nessuno, né io a mio figlio né lui a me.
Si prenderà tutto ciò che vuole e da sé. Potrò consigliargli il meglio, che potrebbe anche essere il suo peggio. Non spetterà ad alcuno, se non a lui prendersi gioco della vita. Per buttare giù le maschere, per calare un ghigno di dispezzo e svelare un mondo tragicomico di architetti e finti liberali. L’unica cosa che farò sarà insegnargli a dire: Grazie!, a non rubare, e a stare lontano da quelli che indossano tuniche.
E se vorrà omologarsi o immatricolarsi come auto usata, è perché le cose scontate vanno a stretto contatto con la sottocultura, e alla prossima festa della Madonna ci si vestirà da galline modaiole per far contento il campanaro. Il minimo sforzo per una noiosa limitazione seriale.
Ho comunque buone speranze, lui sembra fiducioso…
© Raffaele Rutigliano, 2014