UNO/16
Che si fa? Sulla destra ho un foglio con su scritto WorkCentre 5222, saranno le nuove coordinate per una possibilitudine tutta da comprovare? Mah.
Certo, il caso vuole che mi ritrovi qui a raccontare, a raccontarmi, a interessarVi tutti su ciò che sarà mia cura trasmetterVi.
Partiamo da un punto fermo: Chi sono?
A molti risulterò sconosciuto, ma il nome non ha alcuna importanza, se a malapena ricordate quello del vostro vicino.
Sono ciò che scrivo.
Lo scrivere non come appartenenza a una casata o a un gruppo di simili — che al massimo dissimulano —, in quanto simili non lo siamo affatto: chi per difetto, chi per coerenza.
Il corredo genetico di uno scrittore impone il sedersi su una poltrona rossa e impersonare la musa di se stessi: alta, magra, bionda e riverente.
Ogni pensiero portato alla mano o al battere i polpastrelli su una qwerty con i tasti a isoladeve essere un pensiero rivoluzionario. Perché lo scrittore è tale: rivoluzionario.
Non ha senso, e non è neanche sensazionale al contempo, scrivere che fuori sarà una bella giornata, perché sappiamo bene che non lo sarà. Chi scrive deve imporre una linea guida a chi leggerà, una via prestabilita che lo porterà a una presa d’atto che sfocerà in una azione positiva. La scrittura insomma premedita la salvaguardia assoluta. Parliamo di noi, in fin dei conti. Del nostro futuro e del presente prossimo, perché è anche vero che chi dorme prima o poi si sveglierà. E a chi si cimenta in quest’arte senza nulla da dire, lasci il posto alla noia, sarà ben più fruttuosa e carica di soddisfazioni.
Si scrive e basta, non si allacciano rapporti con chi muove i fili della fantapolitica. Si pagano regolarmente le tasse e non si attende il giudizio finale, perché siamo solo noi i giudici di noi stessi. Questo è l’autoprotezionismo che ci porterà a non dipendere da nessuno. Siamo solo schiavi del nostro stomaco: basta andare a fare la spesa e comprare qualche buon libro o una buona traduzione del più importante romanzo di Carrol.
© Raffaele Rutigliano, 2014