Una sera papà mi raccontò una storia bellissima. Era bellissima perché me la raccontò proprio lui, che di
storie non ne raccontava mai.
Seduto sul mio letto minuscolo, aveva una voce sibilante, parole che uscivano come fiato sospeso tra le
labbra troppo fini. Si era appoggiato sull’orlo del materasso e io sentivo che era pronto a scappare, che
aspettava il momento giusto, che non vedeva l’ora che mi addormentassi.
Non riuscivo a guardarlo negli occhi, un po’ per la luce bassa, un po’ perché preferivo fissargli la bocca e
tentare di svelare il mistero delle labbra inesistenti, come inghiottite dal resto della faccia. Non le avevo
mai viste così da vicino e non volevo perdermi nemmeno una parola della storia che si preannunciava
straordinaria, ma forse non me ne importava nulla della storia: ero concentrato sul fiato fresco delle parole più che sul loro significato.
Papà mi riferiva che un giorno il mondo si fece piccolissimo per creare un altro universo, un universo
parallelo. “Hai presente un mappamondo sgonfio? Ecco, devi immaginarlo così. Il corpo maestoso del
mondo che si affloscia per lasciare spazio alla nuova creatura che sta per nascere.”
Nella stanza in penombra fissavo la bocca di papà nell’intenzione assurda di contare quante parole riusciva a pronunciare e nel frattempo aspettavo che anche il suo corpo rimpicciolisse, affinché si creasse lo spazio sufficiente per sdraiarsi accanto a me. A quel punto avevo perso il filo della storia e l’unica cosa che ricordo era la mia lotta contro il sonno e l’ora tarda. Sapevo che non dovevo addormentarmi. Per nessuna ragione.
Papà aspettava quel momento preciso. Papà aspettava di scappare. Ne ero certo. Il suo corpo scivolava
sempre di più sull’orlo del materasso.
Mi sentivo importante con lui al mio fianco. Ed era la prima volta. Se mi fossi addormentato anche solo un secondo, papà sarebbe svanito nel nulla e io sarei rimasto nel dubbio di avere sognato lui e il racconto
della creazione del nuovo universo. Ma nella stanza vedevo ancora muoversi, seppure più appannate, le
sue labbra sottili e ascoltavo la voce che raccontava del mondo enorme e ingombrante ridursi per miracolo e nascondersi in un angolo di cielo. Una storia che sembrava infinita, oppure papà aveva ricominciato daccapo e non me ne ero accorto.
Gli occhi si stavano chiudendo. Con loro l’ombra del sonno che creava immagini colorate e il ricordo di un
film che avevamo visto in tv, dove i protagonisti durante un viaggio in aereo diventavano piccoli piccoli per effetto dell’atmosfera. Sentivo la voce di papà arrivare alle orecchie più debole del motore dell’aeroplano.
Mi giravo da ogni parte per vedere se anche lui era a bordo, oppure se era fuggito anche stavolta. Incontrai solo il vecchio mondo tra i passeggeri, che iniziava a restringersi, come stava accadendo a tutti su quello strano apparecchio. Pure l’aereo cominciò a rimpicciolirsi fino a spremerci dentro la cabina. Ma il mondo non poteva morire schiacciato e sentendosi minacciato, decise di riallargarsi e si mise a crescere, a crescere, a crescere a dismisura. Poi un boato e la cabina esplose. Scintille di metallo si dispersero nel cielo.
Le osservavo correre verso di me e investirmi con il fuoco di un’enorme nuvola arancione.
Sudavo per il caldo della fiammata e mi svegliarono di colpo delle frasi sconnesse che si incastravano sulla mia lingua. Cercai la mano di papà per paura di non farcela da solo; lui doveva essere lì, la sua voce era lì, le labbra sottili non avevano smesso di raccontare la storia. Le sue dita non dovevano essere lontane dalle mie nello spazio minimo del letto. Eccole, ancora sull’orlo del materasso. Provai a stringerle, ad afferrare quel corpo, ma lui si tirò indietro, come faceva sempre, ogni volta che si trattava di toccarmi. Sudavo ancora nel letto e lo guardavo. Quelle labbra si muovevano, questa volta non per raccontarmi la storia che aveva inventato per me, ma per ripetermi che dovevo essere un bambino coraggioso anche quando qualcosa mi spaventava, che non dovevo mostrare le debolezze agli altri, che d’ora in poi avrei dovuto sbrigarmela da solo. E vidi il suo corpo lasciare il letto.
Non ebbi la forza di reagire. Volevo attaccarmi ai suoi vestiti per trattenerlo. Invece accarezzai l’impronta
calda del suo corpo su quel lato di letto, iniziai a strofinare forte forte sulle lenzuola perché si scaldassero
ancora, perché il calore di papà non si disperdesse nella stanza silenziosa. Volevo piangere sopra il suo
maglione rosso e dirgli che la storia era bellissima e che avevo sognato di noi due sull’aereo e insieme
avevamo trasformato le scintille del vecchio mondo. Non erano pericolose come apparivano, ognuna
portava in sé un pezzetto del cosmo che le aveva fatte esplodere. E invece di ferire, trasportavano una luce speciale che illuminava le parti buie del cielo. Non si sarebbero fermate davanti a niente e a nessuno e sarebbero entrate dalla finestra della nostra stanza a illuminare pure noi e ad avvolgerci in un’atmosfera
speciale, anche solo per una notte, anche solo per quella notte.
Da quella sera papà si è perso nel mondo, non so dove sia andato a finire. A casa non è più tornato. Mi
piace immaginare che abbia continuato la nostra avventura, che abbia trovato una di quelle scintille nel
cielo e l’abbia seguita nei suoi giri strani per il cosmo. Continuo ad aspettarlo, non ho fretta. In fondo le
scintille ruotano insieme alla Terra e prima o poi riporteranno a casa papà per raccontarmi la sua, di storia,
bellissima.
©Andrea Mauri
Andrea Mauri vive e lavora a Roma. Collabora come giornalista per quotidiani, riviste ed emittenti radiofoniche, occupandosi di temi legati al sociale, al turismo e al tempo libero. Dal 1995 lavora in Rai, prima nelle produzioni di Raiuno, Raitre e Rai Educazione e attualmente nell’archivio multimediale dell’azienda.
Pubblica racconti in antologie curate da Nottetempo, 80144 Edizioni, Ensemble Edizioni, Algra Editore, Ellera Edizioni, Fara Editore, Historica Edizioni, Lunanera Edizioni, oltre a blog letterari (Svolgimento, Squadernauti, Words Social Forum) e riviste (Carie).
Nel 2016 pubblica il romanzo d’esordio “mickeymouse03” per Alter Ego Edizioni, primo classificato al premio “Mondoscrittura”, finalista al premio Salvatore Quasimodo e al Festival Rive Gauche di Firenze.
Nel 2017 pubblica con Scatole Parlanti il libro “L’ebreo venuto dalla nebbia. Venezia e Roma: due storie di ghetti”.
Nel 2018 pubblica il romanzo “Due secondi di troppo” con Il Seme Bianco, finalista al premio Il Delfino 2018.
Nel 2019 pubblica la raccolta di racconti “Contagiati” (Ensemble Edizioni), che da inedita si è già guadagnata il primo posto al Premio Letterario Nazionale Autori Italiani 2017, una menzione di
merito al Premio Gustavo Pece 2017 ed è stata finalista al Premio Quasimodo 2017. Dopo la pubblicazione si è aggiudicata il secondo posto al Premio Nazionale di Letteratura Contemporanea
Italiana e la menzione di merito al premio “La felicità ritrovata”.
“Ragazzi chimici – Confessioni di chemsex” è il suo ultimo lavoro, realizzato con Angela Infante e pubblicato da Ensemble Edizioni (2020), finalista al Premio Carver 2022.
“La lezione del Duende” da inedito è primo classificato al premio “La città sul ponte” 2022 e finalista al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Europa in Versi 2022.