Bisogna guardare oltre, avere lo sguardo proiettato nel futuro, la mente aperta al nuovo, essere creativi.
Bello… sì davvero bello, un esercizio indispensabile, non c’è guru della comunicazione che non ti ripeta questo mantra costantemente… e che belli che sono! S’immortalano trionfanti nelle loro Ferrari o in mezzo a gente sorridente, ricca, sfarzosa.
Sì, perché, diciamocelo, il successo si misura in denaro, fama, numero di like e non importa quale mezzo hai utilizzato per arrivare lì, potresti essere anche un serial killer che comunque ti verrebbe perdonato, perché il denaro che consacra il successo, non puzza mai e sei persino un coglione se non lo comprendi.
Per il successo ci sono formule infallibili e loro, i guru, giovani (ma pure anziani) rampanti palestrati, ti somministrano le parole magiche da usare, i gesti da compiere, gli abiti da indossare.
Sono i Gesù Cristo di questo secolo con tanto di accoliti festanti inebriati dal verbo, allineati al disegno parossistico del “tutto subito”, fedeli nella lotta, portatori di verità.
La regola è correre!
Corri più svelto, sgomita, fa ciò che suggestiona e giustifica il successo, perché senza quello, non esisti, non sei.
Tutt’al più augurati di essere postumo e qualcuno correrà al posto tuo.
Nelle arti, soprattutto nelle arti, l’esser postumo pare una delle condizioni inevitabili per quelli che davvero qualcosa di artistico fanno, perché se ci pensiamo un attimo, il gesto artistico, quello vero, quello sincero, quasi mai sposa la contemporaneità modaiola e mai abbraccia e limona i potenti del momento.
Del resto… esistono i critici, che intercettano le qualità e le espongono al pubblico, motivandole, spiegandole, certificandole, ma le loro parole diventano aria fritta se non c’è il conforto del “mercato; e allora gli stessi critici fanno buon viso a cattivo gioco e ribaltano il paradigma, partono cioè dal mercato e qualificano un gesto artistico più propenso alla massa che alla nicchia perché in fondo fa buon gioco anche per loro.
Quasi sempre, ma non sempre, sia chiaro.
È un fatto trito e ritrito, nulla di cui scandalizzarci e arriva da lontano, è ancestrale come le nostre cellule.
La storia è zeppa d’incompresi o scientemente esclusi in vita: l’arte è materia complessa, ma anche pericolosa.
Il rischio che si corre tutti noi, che un po’ d’arte produciamo, è quello di nascondere dietro l’insuccesso l’incapacità altrui di comprendere: un alibi bello e buono. Di cose buone, come di poeti veri, ne nascono pochi in un secolo e il più delle volte siamo delle incompiute bellezze o peggio delle insperabili novità.
Il bello del fare arte, comunque la s’intenda, sta proprio nel fatto di farla, compierlo quel gesto, prendersi la responsabilità di mettersi in gioco, rischiare il naufragio, la vita stessa e sapere che lo si fa perché diversamente non ci si riconoscerebbe allo specchio.
E chi lo sa… magari si diventa pure postumi o più semplicemente un oggetto che verrà conservato per un po’ e utilizzato per sostenere tavolini monchi e riempire spazi vuoti su pareti o librerie.
Ma che importa? Puoi sempre seguire le regole del guru, no? Costruirti un’immagine vincente, fare il verso a qualcun altro, o, per dirla come Pierangelo Bertoli (uno dimenticato), “magari poi vestirmi come un fesso/ per fare il deficiente nei concerti”.
Nel dubbio ho studiato una strategia di marketing vincente: metto in vendita le mie reliquie, adesso.
Che so… una maglietta usata in un concerto con tutti i relativi afrori, il plettro della chitarra, le corde usate, la Bic che utilizzo per scrivere, i calzini, i peli del pizzetto appena recisi, una foto appena sveglio o una sulla tazza…
Vendesi, vendesi, prezzi modici, fatene dono ai vostri nipoti che a tempo debito ne gioveranno economicamente, meglio di un BTP!
Almeno se sarò postumo ne sarà valsa la pena e altrimenti mi garantisco la rata dell’amministrazione condominiale del prossimo anno.
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