Il mio mondo è il mio mondo
non posso aprirlo davanti a voi
E se anche descrivessi
le statue dei dodici mesi
celate nel fìtto verde
ognuno di voi vedrebbe
un verde diverso
una statua diversa
e non questo verde
E se descrivessi la mia tristezza
apparirebbe ridicola
e infantile
perché la mia tristezza
è piena d’incanto
come un giardino verde
in inverno
Jarosław Iwaszkiewicz
Ha dieci anni ed è alta come la maestra. Non che la maestra sia alta, però lei la supera, anche se la maestra ha i tacchi e i capelli cotonati. Ha dieci anni e non crescerà più di così, anche se ora non lo sa e non riesce a godersi quel primato che durerà pochissimo.
Odia avere dieci anni e sembrare la mamma delle sue compagne, che sono ancora ragnetti con le braccia e le gambe sottilissime e i denti da latte a festoni. Ha i fianchi e il reggiseno e lo odia perché nessuna delle sue amiche ne ha bisogno. Lo sa perché le ho sfiorate in mezzo alla schiena e nessuna ha ganci o elastici lì in mezzo. Le fanno male le ginocchia. Tantissimo. Cercano di uscirle dalla pelle, scricchiolano quando cammina. «Succede quando si cresce troppo in fretta» ha detto il dottore. «E grazie al cazzo…» sarebbe la risposta giusta, ma ha dieci anni e una dotazione di poche parolacce. «Sei una signorina ora» è il ritornello di sua madre. Quella parola la odierà sempre; il suo essere controtempo in tutto, sempre in anticipo o ritardo, diagonale alla vita: la persona giusta al momento sbagliato, alta nel momento meno adatto, signorina a dieci anni.
«Giraffona, vieni con me!». È l’unica frase che comprende di un lungo discorso di Brigida, la bidella. Brigida parla per lo più in dialetto, non muove le labbra. Durante l’intervallo borbotta e le fa segno di seguirla. La bidella è ancora più piccola della maestra, niente tacchi, ha i capelli sono unti, incollati alla testa. «Giraffona, sono stata alta anch’io, poi ci si rimpicciolisce col tempo». È vero, ma ci vorranno anni per capirlo.
La segue in presidenza. Non c’è mai stata, neanche per caso. È una tranquilla, che evita problemi e ha i compiti fatti. Passerà tutta la vita a fare i compiti e a evitare problemi, scoprendo a un certo punto di poter essere l’esatto contrario: una non fumatrice da due pacchetti al giorno.
«Pigliami il registro della quinta C» Brigida indica i ripiani alti della libreria dietro la poltrona del preside. La quinta C è la sua classe. «…non c’arrivo. Quegli stupidi li mettono sempre in alto». Riesce a sfiorare i dorsi azzurri mettendosi in punta di piedi, ma sono troppo in alti anche così.
«Ti vado a prendere lo scaletto. Lo vedi quant’è amara la vita per le piccole?» sono le parole che la bidella lascia in presidenza allontanandosi. Lei non è più piccola però, è la più alta della sua classe, con un balzo scansa l’amarezza: cinque o sei registri si piegano di lato e in un domino fuori controllo finiscono per terra, confusi e aperti come ventagli. Tutti, tranne quello della quinta C. Non demorde, le basta salire sulla poltrona per raggiungerlo trionfante.
È quello l’istante in cui entra il preside. I loro sguardi si incrociano. Increduli.
Vorrebbe chiedergli una sigaretta.
Un consiglio per trapiantare i pomodori.
Vorrebbe chiedergli di Dio.
Della relatività. Di Einstein e di tutto il resto.
Se vuole sposarla e fare un figlio con lei.
Se preferisce il vino bianco o rosso.
Se Oswald uccise davvero Kennedy da solo.
Vorrebbe chiedergli del senso della vita e del qui e ora.
Soprattutto di questo qui e questo ora in cui resta impietrita col registro in mano, senza spiccicare parola.
Vorrebbe spiegarsi, saper dire una frase da grande, ma è alta, non adulta. Per quello ci vorrà ancora tempo: moltissimi incontri, tentativi, errori, amori sbagliati, amori non vissuti, figuracce, dietrofront, pianti, risa, dolori, gioie, discese ardite e risalite. Ci vorrà un sacco di vita.
«Girafò! Scendi subito da lì!» Brigida rientra, non ha alcuna scala con sé e ora scandisce le parole a voce altissima. Il preside la fissa interrogativo.
«’sti ragazzi… Non li si può lasciar soli un attimo che guarda che ti combinano…»
«E grazie al cazzo…» sarebbe la risposta giusta, ma ha dieci anni e le mancano parole e parolacce.
© Anna Martinenghi, 2020
© foto di copertina di Sandra Giammarruto, 2020
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