La sua grafia era quasi una porno-grafia. Per la morbosità acuminata del tratto. Sembrava quella di un mago, un prestigiatore, un illusionista da circo di paese. Ancora tu, sbuffava davanti allo specchio. Ma non c’era più tempo: al lavoro, diceva, al lavoro. C’è da distruggere me stesso. Anche oggi, aggiungeva,
con pazienza e meticolosità. Il percorso, diceva, continua eccome.
Altro che interruzioni. Ma ogni tanto, la sua narrazione s’inceppava e lasciava il posto all’invenzione fine a se stessa.
Diceva: dove sono finito di preciso? Il fatto è che, ogni volta che veniva scoperto, si girava dall’altra parte. È inutile cercare risposte, diceva.
©Davide Marchetta