KISS ME CLEOPATRA
Quando faccio tardi in ufficio, la sera, divento qualcos’altro.
Quando spengo le luci, e rimane solo il chiarore freddo dell’impianto di sicurezza, a definire i contorni dei monitor e delle postazioni da lavoro, nascondo sotto la pelle la tensione di un grido, serro i denti e deglutisco l’aria densa, quella che si ferma nello stomaco, quella che brucia nel ventre.
Così esco dal parcheggio sotterraneo con l’auto a schermare il mondo fuori. Mi immergo nella notte satura di scintille, dove le anime si confondono con l’insegna al neon di un distributore automatico.
Qui so di essere chi sono davvero. Lungo le strade della città, con le mani strette sul volante e il riflesso sottile dell’autoradio accesa, in completa e liberatoria solitudine, mi trovo.
La via verso casa, con la luce del giorno, è sterile e piatta. Di notte tutto cambia. Scorrono vetrine e spuntano spigoli, si aprono traverse che invitano al buio, bruciano macchie d’asfalto stese ai piedi dei lampioni. Di notte nascono le ninfe, brillano gli angeli, sfilano le dee. Di notte si ascoltano le sentenze della regina. Anche stasera, che ho fatto tardi in ufficio, stasera che divento qualcos’altro.
Così la vedo da lontano, la mia Cleopatra dai capelli neri e dalle spalle d’ombra. Riconosco le gambe strette nella gonna corta, la pelle ambrata dei fianchi, i seni docili e sinceri.
Mi fermo prima del gruppetto in sosta illuminato dal lampione. In completa immersione. A malapena respiro.
Osservo la mia regina e le offro i miei doni. Per primo il silenzio, infine mi sacrifico con una fitta al petto e una lunga carezza a scendere.
Si avvicina una gazzella nera che avrà vent’anni e gli occhi masticati da una stella. Quando mi vede tira dritto, ma non mi importa: i miei baci muti sono solo per Cleopatra. Nel suo sguardo si frantumano cocci di vetro e schegge d’argento, è qui che esiste il ricordo della mia infanzia, della mia giovinezza.
Arriva sempre un momento in cui la mia regina si gira e mi guarda. È allora che riconosco il trucco intorno agli occhi, che sono quelli divini di Horus, luce e mente e germoglio del frumento. È allora che l’aria che espiro diventa più calda. Dopo viene verso di me, passi lenti e braccia libere, lungo i fianchi. Si ferma accanto al finestrino. Si abbassa a guardare dentro. Aspetta. Mi fissa, mentre rimango immobile, poi mi sorride. Aspetta ancora. Alla fine va via, torna dalle altre.
Baciami Cleopatra, vorrei dirle. E so che un giorno glielo dirò.
Così torno a casa, e mano a mano che mi avvicino torno a essere qualcuno.
Baciami, Cleopatra. È solo un sogno.
Auto in garage, rampa di scale, luce azzurrina filtrata dalla porta a vetro, divano con la mia dolce metà stesa sopra, sigla di una serie tv.
«Vedrai che è ancora sveglio, voleva darti la buonanotte…» mi dice.
Vado da lui. È illuminato dalla luce calda dell’abatjour. Gli occhi mezzi chiusi.
Però mi riconosce e allunga le mani verso di me.
Mi abbasso e lo stringo forte.
«Buonanotte, cucciolo…» gli dico.
«Buonanotte, mamma…» mi risponde.
Spengo la luce.
© Alessandro Morbidelli, 2017