Pipì

Sono una persona ansiosa e vivo in equilibro precario, su un piede solo, al quale manca un dito. La chiamo “pipì nervosa”, consiste in uno stimolo irresistibile a urinare, anche solo poche gocce e diventa
imperativo quando mi sento ansiosa o oppressa dalle preoccupazioni. In realtà è una patologia che esiste e ha anche un nome dignitoso, me lo ha rivelato un medico. Dice, signora si rilassi, la devo visitare, sembra facile, rispondo, ho la pipì nervosa e sto per esploderle in faccia. Capisco, mi risponde, si chiama così (omissis, non ricordo), stia tranquilla, è una cosa molto comune, lei è un pochino ansiosa, forse?
Dottore, io sono ansia allo stato solido, aspiro inquietudine ed emetto apprensione. Cosa mi ha prescritto, vi chiederete voi? Solo una pomata per una lieve irritazione, per l’altro mio problema nulla, del resto era un ginecologo.
È soprattutto di notte che il mio stato di agitazione diventa invalidante. Non so cosa avrei fatto se non avessi incontrato quei tre personaggi.
Fin da piccola ero terrorizzata dai rumori notturni, gli scricchiolii, le piccole stoccate di assestamento alle quali non fai attenzione durante il giorno. Un refolo che si intrufola tra le persiane, cantando
una sua melodia particolare. Topi in soffitta, può darsi, è un luogo in cui nidificano normalmente. Una notte, avevo forse dieci anni, mi venne la febbre alta a causa dell’influenza e riuscii a vedere quei
piccoli roditori correre dentro un muro della mia stanza, osservai proprio la superficie della parete ingobbirsi al loro passaggio, come fosse un lenzuolo. Urlai terrorizzata ma all’arrivo di mia madre i
cospiratori erano già defluiti altrove e lei realizzò una diagnosi di delirio da temperatura eccessiva, avevo solo il cervello che stava per arrostire, nulla di preoccupante. La mamma era una diagnosta fai-
da-te ante social. Non ho mai avuto paura dei topi, li trovo anche simpatici, del resto non sono altro che cugini poveri degli aristocratici criceti, animali da compagnia acquistabili nei negozi specializzati, ma sapere che hanno il potere di trasformare un tramezzo di cemento in morbido cachemire, mi stimola la vescica.
Quei tre personaggi hanno cambiato molte cose nella mia vita.
Ubaldo, Ubalda e Arnoldo mi hanno fatto un gran favore a venire a vivere a casa mia e immagino sia stato un gran sollievo anche per loro trovare un appartamento, affitto bloccato, canone zero, vitto e alloggio compresi, servizi non in fondo al corridoio. Ci aiutiamo a vicenda. Nonostante io sia sveglia per diverse ore durante la notte, non sono più tesa, in ascolto, pronta a captare rumori strani e forieri di presenze spaventose, perché ci sono loro. Non dormiamo insieme, io tengo moltissimo ai miei spazi e il letto è un territorio inviolabile, ognuno sta per conto suo, eppure, il fatto che un cigolio possa essere solo il frutto di un loro spostamento, mi tranquillizza.
Ogni due ore mi sveglio per fare pipì, all’inizio è solo un lieve bisogno ma se non lo assecondo diventa una fitta, sempre più dolorosa, la vescica sembra dilatarsi, posso quasi vedere le crepe formarsi sulla superficie elastica, potrebbe deflagrare come un palloncino. Mi devo alzare, non posso opporre resistenza, devo andare in bagno.
La stanza non è del tutto buia, dalle persiane chiuse filtra il chiarore fumoso di un lampione e spesso il soffitto viene accarezzato da falci di luce fredda, i fari delle poche auto in transito. Tutto ciò che
illumina l’ambiente è desiderabile e rassicurante, come la lucina per bimbi che lascio sempre attaccata alla presa.
Sotto la porta c’è uno spiraglio che fa entrare una sottile, tenue lama luminosa. Prima di poggiare i piedi a terra in cerca delle ciabatte, guardo quella luce che deve essere omogenea e in nessun punto
interrotta da un ostacolo, perché potrebbe esserci un piede umano, un ladro in agguato o peggio, un essere che mi minaccia con la sua presenza incorporea. A volte succedeva, prima che arrivassero i miei nuovi coinquilini, era una sensazione di terrore che conoscevo fin da piccola, quando la porta era quella della mia cameretta e il bagno una meta da conquistare con coraggio. Potevo anche sbagliarmi,
certo, ma più di una volta ho visto qualcosa che rompeva quel leggero irradiamento e mi imponeva di aspettare che sparisse, al sicuro, sotto le coperte. Da bambina percorrevo il corridoio di corsa, anche se sapevo che probabilmente così era peggio, qualunque cosa fosse in agguato avrebbe provato ancor più gusto nel corrermi dietro. Crescendo ho imparato a disciplinare il mio terrore e a percorrere quella distanza camminando, per rendere chiaro all’inseguitore che non avevo paura, forse avevo un’arma
segreta nascosta, chi poteva dirlo? Un grande bluff, faccia da poker e passo fermo.
Anche adesso capita di vedere delle ombre sotto la porta, ma so che potrebbe essere uno dei miei tre amici, quindi non mi preoccupo più, ho una spiegazione del tutto razionale e non ha più a che fare
con presenze malvagie che vivono solo nella mia testa. Il più delle volte mi alzo senza neanche controllare lo spiraglio, mi incammino tranquilla.
I coinquilini si aggirano spesso per casa di notte, dormono poco e ciò mi rasserena. Sento un leggero strusciare in corridoio? Sarà uno di loro. Un ticchettio, stanno manipolando qualcosa. Un colpo
secco, qualcuno ha sbattuto a una sedia. Sono i miei amici, nulla di strano.
Mi alzo presto al mattino, in corrispondenza con l’ultima urgenza della mia vescica, fuori è ancora buio. Apro la porta e Ubaldo è già lì che mi aspetta, comincia a strusciarsi tra le mie gambe e miagola per
indicarmi che ha fame. Arrivano gli altri due, si stiracchiano profondamente e attendono che le rivendicazioni del compare ottengano un risultato. Aspettate ragazzi, prima devo fare pipì, è
urgente, gli raccomando ogni volta. Non hanno pazienza.
Entro in bagno, solitamente non guardo verso la parte più critica della commedia delle mie paure, perché quel terrore adesso non mi possiede più. Però, a volte, mentre mi lavo le mani, ancora mi capita di sollevare gli occhi. So che non dovrei ma è irresistibile, devo esorcizzare quel timore con il coraggio di un atto sovversivo, sono obbligata a guardare nello specchio.
E succede. Oggi come allora, quando ero piccola e non avevo nessuno che mi proteggesse.
«Ragazzi, venite qua. Chi mi ha rubato il riflesso?»

©Ale Ortica

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