Aveva sempre ceduto il passo ai sogni. Era la sua maniera di stare al mondo, di affrontare gli altri. Aveva la mente prigioniera della mente. Chiedeva al primo che incontrava: Giochiamo a mente prigioniera? Sulla vita consultava se stesso da morto. E si permetteva di uscirne vivo. Si esercitava a morire. E intanto
prendeva appunti. Il tempo negativo dei ricordi scriveva al posto suo. C’era in lui qualcosa di più insostenibile della sofferenza?
C’era in lui qualcosa di più doloroso della vigliaccheria? Era proprio quello il tempo che aveva costruito per sé? Ci teneva al suo sguardo da condannato a morte.
©Davide Marchetta