Il dottor Omobono era il terrore di tutta la Divisione Est del Distretto A della Grande Azienda. Da anni si vociferava di suoi potenti agganci su, su e ancora più su, fino forse alla Santa Sede e qualcuno sosteneva addirittura che non ci fosse elezione presidenziale senza il suo benestare.
Il dottor Omobono era alto quasi due metri, si avvicinava alla sessantina, ma grazie alle cure di medici di fama internazionale e a provvidenziali ritocchi di finissima lama, poteva essere scambiato per un cinquantenne. Con le luci giuste, alle volte anche per un quarantenne. Il dottor Omobono fumava 50 sigarette al giorno e poteva bere fino a due litri di rum cubano senza ubriacarsi. Quando urlava, i vetri del suo ufficio si incrinavano leggermente al punto che, stanchi di ricorre al vetraio, i prudenti ragionieri dell’economato avevano suggerito di sostituire i normali vetri con vetri antiproiettile e antisfondamento Il dottor Omobono aveva sei segretarie di età compresa fra i 18 e i 25 anni: altezza minima 1,70, capelli lunghi e lisci (il dottor Omobono odiava i capelli ricci), quarta abbondante di reggiseno e labbra alla Angelina Jolie. Anche rifatte.
Il dottor Omobono disprezzava tutti i dipendenti della Divisione Est del Distretto A della Grande Azienda. Tutti, indistintamente, nessuno escluso. E tutti i dipendenti della Divisione Est del Distretto A della Grande Azienda lo adoravano. E lo temevano.
Il ragionier Riberti era arrivato da poco alla Divisione Est del Distretto A della Grande Azienda. Di lui, che incolore scivolava quasi inosservato lungo i corridoi, si sapeva poco. Veniva dalla gavetta e prima di approdare al piano nobile della Grande Azienda aveva trascorso anni di tirocinio in tutte le filiali più periferiche e disagiate.
Il ragionier Riberti era un uomo oggettivamente brutto, se solo ci si fosse presi la briga di osservarlo, cosa che raramente qualcuno faceva. Basso, la grossa testa incassata sulle spalle ricurve, poteva avere 40 anni come 50 come 60, e metteva una cura meticolosa nella scelte delle cravatte e delle scarpe: tutte, le une e le altre, inderogabilmente di pessimo gusto. Professionalmente, il ragionier Riberti era pignolo e scrupoloso. Con il barista del bar all’angolo, l’unico che fingesse di ascoltarlo, diceva sempre che sul lavoro non commetteva errori dal 1989. Riberti era alla Divisione Est del Distretto A della Grande Azienda da quasi due mesi e ancora non era stato investito da una delle epiche sfuriate del dottor Omobono. I suoi vicini di scrivania, gli unici che ogni tanto si accorgevano di lui, facevano scommesse sul giorno in cui sarebbe caduto vittima dell’ira del dottor Omobono. Perché dall’ira di Omobono nessuno poteva salvarsi. Nessuno si era mai salvato. La scommessa fu vinta dal ragionier Salvini, che il giorno 23 aprile, alle ore 14,56, incassò 15 euro dal collega Minnelli. Mentre le banconote passavano da una mano all’altra, il povero ragionier Riberti stava in piedi, al centro dell’enorme open space con vista sulla torre presidenziale. Il dottor Omobono infieriva su di lui per una non meglio precisata colpevolezza. Ad ogni COGLIONE ruggito dal dottor Omobono, i dipendenti della Divisione Est del distretto A della Grande Azienda sussultavano. Il ragionier Riberti, inaspettatamente, rimaneva impassibile e quando già i colleghi Salvini e Minnelli parevano pronti a scommettere sul momento in cui Riberti sarebbe crollato scoppiando in lacrime, tutti udirono distintamente il basso ragioniere pelato pronunciare un’unica parola: Luana.
Luana?
Sì, solo Luana.
Quello che accadde dopo, venne raccontato per anni e anni, finché il reale si confuse con il leggendario. I dipendenti della Divisione Est del Distretto A della Grande Azienda videro il dottor Omobono impallidire e ammutolirsi all’istante. Lo videro irrigidirsi. Lo videro sudare. Lo videro quasi afflosciarsi su se stesso, infine girare sui tacchi e chiudersi nel suo ufficio. Il ragionier Riberti, molto tranquillamente, fece ritorno alla sua scrivania e riprese il lavoro, come se nulla fosse accaduto. Nessuno ebbe il coraggio di chiedergli qualcosa. Dal canto suo, il ragionier Riberti si comportò come se avesse scordato quanto successo un secondo dopo essersi riseduto al suo computer.
Luana, pensava il ragionier Riberti pestando sulla tastiera del pc, mentre un leggero sorriso era quasi tentato di spuntargli sulle labbra. Luana, la regina delle drag. Luana, la diavolessa delle gang bang. Luana, la divina dell’Oka Pazza, noto locale omo, bisex e transgender. Luana, l’inarrivabile protagonista della dark room, di cui lui, il ragionier Riberti, era affezionato cliente dal 1992.
Luana, parrucca bionda e guaine da simil-troia, tacco 12 e un arsenale di anal plug da far impallidire un minatore. Mai più, il ragionier Riberti, avrebbe potuto immaginare di ritrovarsi con Luana faccia a faccia fuori dal grande letto rotondo (specchi sul soffitto) dove da cinque anni si incontravano quasi ogni lunedì sera.
©Viviana Gabrini, 2015 (tratto da I fili di Arianna, Primula Editore)
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©Podcast: voce Viviana Gabrini, elaborazione audio Studio Lenny Farmer