Bus stop di Joshua Logan (1956)
La sfortunata Cherry, cui Marilyn Monroe dà vita in Bus Stop, è l’emblema di un cinema ipnotico ed emozionale: ne è il corpo ed il sussulto sentimentale, l’incarnazione della favola che il regista Joshua Logan mette in scena creando un apparato estatico che circonda l’anima della protagonista.
La celeberrima sequenza del saloon dove Cherry canta “That old black magic” è un momento di cinema sublime, per la comunanza spirituale che si crea tra l’interpretazione della Monroe e la ricreazione di un contesto che ne è lo specchio erotico ed onirico. Logan immerge la Monroe in un sogno colorato che copre la realtà sporca e degradata della sua quotidianità. Il saloon, rozzo, volgare, una prigione da cui pare impossibile risalire, diviene il palcoscenico trasfigurato dalle illusioni. Ecco allora che Cherry ci ipnotizza col suo dolore, la sua speranza, il sorriso, la canzone sussurrata con una spinta erotica che mai più brucerà Hollywood con una simile potenza; e intanto Logan la investe di luce, blu, rossa, poi un buio da cui emerge lo stellato dei suoi occhi ed una bocca che canta l’impossibile.
Vivere questi pochi minuti di film equivale ad aver provato tutta la malinconia, la disperazione, la spinta all’elevazione dell’animo umano; nessuna attrice come Marilyn sa portare sul proprio viso, sulle proprie movenze piene di grazia ed esperienza la ferita e l’illusione. La visione di questa scena ci lascia innamorati ed egoisti, una scena centrale per comprendere il turbamento e la possessività cieca di Bo (Don Murray), la cui ingenuità crolla di fronte alla tempesta di pulsioni innescata dalla fragilità di Cherry.
La purezza di Bo è evidente: giovane hillbilly abituato alle montagne e alla natura, è l’unico che al di fuori di paradigmi sociali e di misogine convenzioni, colga la natura angelica di Cherry. Se il pubblico del saloon la ignora e pare cieco alla sua luminosa tristezza, al candore soffuso della sua sensibilità, Bo da questa luce viene direttamente trafitto.
© Marcella Leonardi