Dial M for murder (Delitto per delitto) di Alfred Hitchcock (1954)
Che il cinema di Hitchcock non abbia mai smesso di ispirare i registi successivi non è un mistero; dagli omaggi dichiarati di De Palma ed Argento, al recente esempio di Polanski che in Carnage riprende filologicamente il “testo” hitchcockiano di Dial M for Murder, il maestro inglese ha sempre anticipato i tempi e definito estetiche.
Dotato di un fortissimo senso plastico quanto narrativo, Hitchcock ebbe anche delle importanti intuizioni sul 3D: non solo ne comprese immediatamente la qualità effimera (lo definì “a nine-day wonder”, una meraviglia di breve durata), ma vedendosi costretto a servirsene per la realizzazione di Dial M for Murder, sotto pressione della Warner, lo utilizzò come terreno sperimentale e e soprattutto rinunciò a facili effetti limitandosi alla sua funzionalità alla storia narrata.
Per Hitchcock la sperimentazione era fondamentale: affascinato dalla ricchezza linguistica/tecnica del cinema, non rifiutava di scandagliare alcuna delle sue possibilità (era solito affermare che per un regista, persino l’idea di un film girato in una cabina telefonica poteva essere feconda di creatività e intuizioni drammatiche); ciò che stupisce nel suo approccio al 3D è come egli l’abbia trasformato in senso spaziale classico e moderno al tempo stesso, rifiutando di servirsene come di un gimmick (in Dial M for Murderl’estrema sobrietà dell’impianto teatrale e del decor esclude qualsiasi possibilità di oggetti volanti ecc.) e focalizzandosi invece su oggetti essenziali, come il lampadario, il vaso di fiori e le forbici. Hitchcock concepiva il 3D come apporto tecnico capace di rendere più naturalel’esperienza del film, e quindi finalizzato al racconto: un racconto, nel caso diDial M for Murder, teso, concentrato, che non lascia spazio alla distrazione visiva ludica (capace solo di sottrarre energia emotiva al dramma).
Rispetto al mero scintillio tecnologico degli effetti in 3D della Hollywood contemporanea, Dial M for Murder era dunque creazione di uno spazio in cui l’esperienza dello spettatore si fa il più libera possibile, oltre l’ipocrisia di qualsiasi trucco da prestigiatore.
© Marcella Leonardi