Cuore Selvaggio – Wilde at Heart di David Lynch (1990)
Cuore Selvaggio viaggia all’interno del subconscio ribollente del suo autore, e si ha la sensazione che il regista non si sia mai divertito tanto ad attraversare questo “tunnel degli orrori” in cui allo spavento si accompagna sempre il piacere. Lynch confonde lo spettatore con primissimi piani – e di contro, campi lunghi – che sconvolgono qualsiasi significanza e rendono gli oggetti (o i corpi) estranei, inconoscibili. Una strada desertica, le ombre proiettate sul muro, il dettaglio di una sigaretta o l’esplosione di una fiamma assumono un significato che nulla ha a che fare con la realtà così come la registriamo normalmente. Tra realtà relative e sfasature, il film gioca con le nostre percezioni; ma è anche cinema che coivolge i sensi tanto da farsi sensazione fisica (il calore, il sudore e il sangue sembra di sentirli addosso).
Il surrealismo di Lynch si esprime nella sua capacità di privare le cose della loro familiarità e senso comune. “Una rosa è una rosa è una rosa”, sembrava affermare la chiusa diBlue Velvet. Cuore Selvaggio ripropone questa filosofia estremizzandola, trattando eventi, azioni, personaggi come oggetti di un sogno. Lynch ci dà l’illusione di trovarci di fronte ad uno sviluppo narrativo, ma allestisce quella che è solo la facciata di una struttura tradizionale; il suo film, opera viva e stralunata, possiede il gusto rivoluzionario degli oggetti della Pop Art.
© Marcella Leonardi