Lei di Maddalena Filippi

Sono nata figlia insofferente di una madre votata ai maschi. Terza di dieci fratelli, ho sempre adorato mio padre. Il fatto di essere nata donna mi ha permesso di rapire il suo cuore e guadagnare un posto speciale, però mi ha vietato di accedere al lavoro in azienda, riservato agli uomini, e mi ha costretto a una competizione perenne con mia madre, gelosa di quel rapporto speciale e di quella dolcezza che lui riservava solo a me. Nonostante la sua moderna visione degli affari, comunque, per lui, il posto delle donne era la casa. La sua preferenza non mi ha mai agevolata in tal senso.

Mia madre ha sfornato dieci figli e ha trascorso la vita a destreggiarsi tra bocche da sfamare e cappotti da rivoltare. In tempo di guerra quando non si aveva niente e bisognava moltiplicare quel niente per sopravvivere; finita la guerra, perché era diventata l’ombra devota di mio padre, la moglie discreta e pia che tutti si aspettavano che fosse.

Per lei, figlia di un ufficiale dell’esercito e di una donna fragile di nervi – combinazione esplosiva per una primogenita cresciuta nel mito della disciplina, della preghiera e del nascondimento dei sentimenti perché considerati segno di debolezza – , il senso di sacrificio ha contato più dell’amore e le ha fatto partorire tanti figli, tutti educati alla stessa maniera, come in caserma: i maschi in azienda, io in collegio dalle suore per essere pronta a mia volta a partorire, allevare, custodire. Diventare una buona fattrice, proprio come si aspettava mio padre. Che avessi più cervello e volontà di alcuni dei miei fratelli era un dettaglio trascurabile e trascurato anche e soprattutto da lui. Il più grande complimento che pensava di avermi fatto, era stato: «Ragioni come un uomo».

Tra rosari, opere di bene, rigore morale e severità esasperata la vita di mia madre è scivolata via, superando ogni ostacolo, finché – alla morte del suo figlio prediletto – qualcosa si è spezzato dentro di lei in modo irrimediabile, trascinandola pian piano in un mondo inaccessibile, fatto di silenzio, di un continuo muoversi senza interagire con nessuno e di ricordi solo suoi.

Quando sono diventata madre a mia volta, e di tre figlie, ne sono stata felice. Sapevo che avrei potuto insegnare loro il coraggio, la tenacia e quella libertà di essere donne e vivere alla pari con gli uomini che io non ho mai avuto. Le ho cresciute da sola e me ne vanto: ho trasmesso loro la forza della cultura; la curiosità verso il mondo; le ho mandate all’estero; ho insistito che imparassero le lingue. Le ho guardate crescere, così diverse, così fragili anche se le avrei volute forti. Le ho amate, sgridate, aiutate, pungolate, sostenute. A modo mio. Mi hanno odiata? Forse. Temuta? Di sicuro.

Anche adesso, in questo letto, mentre respiro a fatica e sento che anche la mia vita, come quella di mia madre, sta scivolando via, le vedo accanto a me e so di aver fatto un buon lavoro.

Ho paura, chi non ne ha? Ma sono pronta.

Sentirle dire: «Va tutto bene mamma. Vai», mi dà il coraggio di esprimere quello che avrei sempre voluto. Quello che mia madre mi ha sempre taciuto: «Vi voglio bene ragazze. Tanto. Vogliatevene anche voi».

©Maddalena Filippi, 2020
©Foto copertina Leonardo Cassi

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