Leggo per legittima difesa
(attribuita a Woody Allen)
Io ero l’Africa (Avagliano editore) di Roberta Lepri l’ho letto in una notte. Mi sono svegliata alle quattro, di colpo, e capendo che non sarei riuscita a riaddormentarmi ho cominciato a leggere. Pagina dopo pagina mi immergevo nella storia di Angela e Teo, spinti al ricordo dei loro anni trascorsi in Africa dalle domande incalzanti della nipote Bianca. Incontravo personaggi e pensieri, ma soprattutto vedevo l’Africa attraverso gli occhi di Angela, più ancora che quelli di Teo (incattivito, chiuso in e stesso e corroso dall’incapacità di capire una nuova terra e i suoi abitanti, partito socialista e diveuto razzista in Somalia, lì dove la sua incapacità ad accettare la diversità di altri popoli e altre culture diventa tangibile) e attraverso quelli di Bianca, appesi all’immaginario di un Paese mai visto ma vissuto nelle parole dei nonni e ai loro racconti contrastanti.
Angela che raggiunge Teo in Somalia, lasciando i tre figli maschi in Italia, recidendo alla base le radici delle sue origini e ricostruendo se stessa, nuova e libera, in una terra che all’inizio le appare incomprensibile nella sua immensità, nei suoi ritmi lenti, nella fatica richiesta a chiunque – uomini e animali – per riuscire a sopravvivere, dentro una Natura che si manifesta come potenza e dominio, al cospetto della quale, l’Uomo, è niente.
Angela che osserva, ascolta, respira, vive l’Africa, fino a diventarne parte, fino a essere l’Africa.
Ambientato negli anni Cinquanta, Robeta Lepri ha un modo avvolgente di narrare, la sua scrittura è limpida, il procedere del racconto è ritmico e trascinante. Lepri lascia spazio alle voci di tutti i personaggi, anche quelli minori, per dipingere un quadro ricco di sfumature,
Terminato il romanzo, verso le sette, mi sono riaddormetata. E ho sognato l’Africa. Lo giuro.
Qui l’intervista all’autrice a Tg2 Achab Libri