Le antipatiche [1] di Anna Martinenghi

©  L'antipatica, di Stefania Morgante
© L’antipatica, di Stefania Morgante

Le due metà

Altiero Zanassa Jr. e Sharona Tiwazake si detestarono dal primo incontro. Inevitabile.

Lui – il mio capo – erede della Zanassa Rubinetterie e Sanitari, è ignorante e ricchissimo. Si presenta come “g-i-u-g-n-o-r”, mettendo l’accento sulla gn e mi ha assunto per non faticare a imparar l’inglese. «Giusto o sbagliato, resto sempre il capo» è la sua unica, inflessibile politica manageriale. Sharona – proprio come My Sharona, la canzone degli anni Settanta – è stata la nostra interprete per dieci giorni durante un viaggio in Giappone.

Sì, perché la crisi colpisce anche i ricchi, ignoranti ereditieri di rubinetterie e l’Altiero è convinto che la frontiera del sanitario stia a Est della pianura Padana. «Gli occhi a mandorla andranno pazzi per i nostri cessi-bidet» mi disse un giorno, trionfante. Ora, l’Altiero Giugnor va tradotto anche quando non parla in inglese e per “cessi-bidet” sottintende il ricco catalogo Zanassa dei w.c. con bidet integrati, piccole astronavi tecnologiche per il sollievo fisico e l’igiene personale.

Così una mattina d’aprile, con l’imbarazzante slogan: “PER LA TUA TAZZA SCEGLI ZANASSA”– che avevo suggerito, con tutto il cuore, di lasciare in lingua originale, – partii con Giugnor e Sharona alla volta del Sol Levante. Non ero indispensabile in quel viaggio; Sharona parla altre quattro lingue oltre al giapponese e all’italiano, ma l’Altiero mi volle assolutamente, perché -parole sue -: «La lottatrice di s-u-g-o non mi capisce tanto bene».

Mettere in soggezione l’Altiero non è cosa da poco, ma Sharona ci riesce. Sarà per via dei suoi lunghi silenzi e del suo aspetto poco convenzionale. Sharona è uno strano miscuglio umano: padre giapponese e madre italiana, in lei convivono tratti somatici davvero particolari. Ha un viso orientale, ma la sua carnagione è scura, mediterranea. «La nippolitana» si scompiscia Giugnor «parte-nopea e parte-terona».

E’ difficile non notarla, anche fisicamente sembra assemblata con la metà di due donne diverse: fino alla vita conserva l’esilità e la delicatezza delle donne orientali, mentre il busto si avvita su un paio di fianchi poderosi, un fondoschiena prorompente e un paio di gambe non proprio minute.

«Pari una paperella di gomma, Sciiaron» si è azzardato l’Altiero durante il Milano Malpensa – Tokyo Narita. «Mi chiamo Sharona» si è limitata a precisare lei, senza scomporsi e senza aggiungere altro per le quasi dodici ore del volo. Imperscrutabile.

Non dev’essere facile sopportare gli sguardi di curiosità della gente, forse anche per questo Sharona è così riservata, quasi scontrosa, molto più giappo che napoletana, almeno nel carattere e nel modo di porsi.

Fu una settimana campale: un infinito rincorrersi di incontri, briefing, meeting, intervallati da inchini e dai meticolosi rituali di presentazione nipponici. Sharona instancabile ci suggeriva ciò che era meglio fare o evitare: strette di mano poco calorose, distanza minima da rispettare, vietatissimo soffiarsi il naso in pubblico, indispensabile rispettare la gerarchia di ogni società che incontravamo. Io incassavo in silenzio le crasse battute dell’Alterio, le sue serate al Karaoke e i tentativi maldestri di abbordare le ragazzine vestite da collegiali con i capelli rosa. Per fortuna non c’era tempo libero e i giorni passavano veloci, in Giappone l’inglese è parlato pochissimo.

Sharona fu una macchina da guerra: forte delle sue tre lauree e del suo curriculum impeccabile, guidò la “Zanassa Rubinetterie e Sanitari” alla carica del mercato giapponese. Traduceva i deliranti discorsi di Giugnor, infarciti di volgarità e licenze poco poetiche con compostezza esemplare. In quella lingua criptica, semi agglutinante, Sharona appariva calma e convincente.

Mi chiedevo come facesse, a ogni riunione a tradurre lo Zanassa pensiero sull’articolo di punta Swashjet 8500 w.c. integrato. Il linguaggio dell’Altiero, col passare del tempo si faceva sempre meno tecnico e per nulla professionale. Era passato dall’iniziale “Il sanitario unisce le funzionalità di un bidet a quelle di un w.c. tradizionale, ha la tavola riscaldata con regolazione della temperatura, apertura e chiusura della tavoletta sono automatizzate. E’ dotato di un touch screen di ultima generazione con connessione internet e di telecomando a distanza, musica di sottofondo per il vostro piacere e per coprire eventuali rumori imbarazzanti” a descrizioni sempre più sbracate. Sharona traduceva imperterrita, senza alzare lo sguardo. Le parole sporche del capo sembravano filtrate dalla sua intelligenza, restituite limpide al mittente dal suo straordinario contegno. L’ammiravo.

Giugnor però era sempre più pesante. Punzecchiava Sharona col suo linguaggio da trivio, sempre più ardito, sempre più volgare. Saltellava, gesticolando, insaccato nel suo completo sartoriale: gli arti secchi sulla pancia tonda. Ricordava un folletto, con le costose scarpe a punta, confezionate su misura. Sharona, di ghiaccio, ripeteva con tutta probabilità una versione politicamente corretta di quanto aveva studiato.

Ma poi arrivò la goccia che fece traboccare il vaso. Fu alla centesima descrizione dello Swashjet 8500 w.c. integrato. Giugnor si stava sperticando nelle sue usuali scemenze: «Così, miei cari sederini gialli, seduti comodamente sul trono Zanassa potrete fare harakiri con la tazza riscaldante…». Il discorso che andrebbe infarcito di “beep” terminò con l’infelice frase: «Lo Shawshjet 8500 è talmente resistente che può sostenere anche quella chiappona di Sciiaroonnn».

Fu allora che vidi per la prima volta nello sguardo di Sharona, emergere la metà napoletana del suo carattere, quella che teneva celata in chissà quale scrigno dell’ anima. Vidi la schiera dei suoi antenati, la nonna con il foulard in testa, l’intera dinastia dei Borbone comparire all’orizzonte del Regno di Napoli e delle due Sicilie. Il Vesuvio, così sopito nello spirito orientale, iniziò a pompare lava e sangue, rabbia e forza in quella gola da cui usciva solitamente solo un tono calmo e aggraziato. L’urlo arrivò come lo schianto di mille statuine di Capodimonte scaraventate all’unisono verso Alterio Zanassa Giugnor, verso la sua tracotanza, i pantaloni stretti sulla pancia molle, i suoi scarpini a punta. Sharona proruppe in un memorabile, liberatorio: «Tu si ‘n ommemmerda!».

Fu una cosa veloce e inaspettata, dubito che i giapponesi siano riusciti a coglierne il senso. In un attimo Sharona tornò al suo rosario di ideogrammi, lenta e calma come sempre.

Il volto di Giugnor era di pietra, anzi no, di ceramica.

©Anna Martinenghi

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2 commenti

  1. Spettacolare! meravigliosooooooo !
    io voglio leggerti sempre!

  2. m’arrosso a papavero. l’antipatica ringrazia 🙂

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