«Maestro…»
«Professore…»
«Esimio…»
«Vostra Eminenza…»
L’ultimo appellativo parve un po’ eccessivo a chi, dei presenti, aveva ascoltato quel brusio sommesso e sottomesso che accompagnava l’incedere dell’ospite d’onore ma lui, l’ospite d’onore, non parve accorgersene, preso com’era dalla sacralità del momento.
Mentre scendeva le scale dell’antica cantina scavata nel ventre di rocce millenarie, Jean Luc de Vignerons, sommelier di fama mondiale, si convinceva sempre di più di essere a un passo dall’ immortalità. Almeno professionale.
L’esaltazione mistica che gli stringeva la gola era ben giustificata poiché a lui e a lui soltanto spettava un incarico tanto prestigioso quanto di immensa responsabilità: degustare e nobilitare (o affossare) un vino tornato alla vita dopo secoli di ricerche e di studi.
In particolare, in quella cantina sperduta nelle campagne pugliesi dove de Vignerons era stato portato con la massima segretezza, un pool di studiosi aveva lavorato incessantemente per quasi un trentennio. Storici, storiografi, religiosi, enologi, filologi, biblisti, viticoltori e sommelier si erano dannati l’anima per restituire al mondo un vino creato poco dopo l’anno mille da un frate di Pietralcino appartenente all’Ordine degli Afflitti Penitenti e Soventemente Flagellanti.
Lo stesso vino che Boemondo I d’Altavilla aveva portato con sé durante la prima Crociata e che, secondo la leggenda, lo aveva salvato da morte sicura per mezzo di prodigi e gli aveva permesso la conquista di Antiochia. Lo stesso vino che l’umile e devoto fraticello aveva creato innestando su un vitigno autoctono un tralcio delle medesime uve che avevano fornito il vino in occasione delle nozze di Cana: l’Abboccatello di Pietralcino.
Jean Luc de Vignerons era sì il più noto e abile sommelier al mondo, ma queste cose gli erano state spiegate e insegnate nelle ultime settimane dal professor Giorgio Marchi, insigne biblista a capo della squadra di studiosi. Le prove e gli esperimenti si erano susseguiti sulle terre di un generoso mecenate che chiedeva di rimanere anonimo, almeno fino al momento in cui l’Abboccatello di Pietralcino, tornato a nuova vita, non sarebbe stato presentato al mondo.
Non senza una certa emozione, de Vignerons entrò nell’ultima sala della cantina sotterranea: attorno a lui gli studiosi del pool e pochi fidati collaboratori si scambiavano frasi appena sussurrate per non disturbare la concentrazione del sommelier.
«Prego, maestro, si accomodi.»
Jean Luc de Vignerons si avvicinò al tavolo dove una bordolese a spalla alta lo aspettava, adagiata su una tovaglia candida di lino finissimo.
Disdegnando il kit che gli veniva offerto, de Vignerons posò sul tavolo la sua valigetta, la aprì e, a colpo sicuro, scelse un cavatappi che gli era stato regalato quasi trent’anni prima dal suo maestro.
Con uno sguardo circolare, cercò e ottenne l’approvazione dei presenti, quindi si accinse a stappare la prima bottiglia di Abboccatello.
Un plop delicato ma allo stesso tempo deciso gli fece sentire un brivido lungo la schiena. Le narici frementi non registrarono nessuna imperfezione del sughero e il vino, rosso e corposo, scese finalmente nel bicchiere di cristallo immacolato.
Quando sollevò il calice, un mormorìo emozionato si diffuse per la sala.
Il sommelier rimirò il vino, poi prese a farlo roteare delicatamente. Quindi tornò a fissarlo, passando dalla luce delle lampadine al bianco della tovaglia.
«Colore rosso rubino – sentenziò de Vignerons – sfumature degne di una certa violacità. Corposo MA limpido. Corpo direi…»
Attorno a lui si fece il silenzio.
«Generoso!»
A qualcuno sfuggì un breve applauso di contentezza.
Con un gesto ampio e deciso, il sommelier si portò il bicchiere all’altezza del viso e vi immerse il naso.
Gli astanti, per contrappasso, smisero di respirare.
Le narici di de Vignerons parevano froge di cavallo giovane e fremente.
«Note speziate.» fu la prima sentenza.
«Aroma di noce moscata, pepe rosa di Teotihuacan, sentore di cioccolato del Borneo e vaniglia di Madrasso.»
La tensione oramai era palpabile. Qualcuno allentò il colletto della camicia, altri presero a sudare.
«Frutti rossi del Mar Morto in salamoia di bacche di ginepro e…»
«E…?» fecero eco gli sudiosi.
Quei pochi secondi di silenzio parvero durare un millennio almeno.
Ancora un’annusatina e poi la conferma: «E pelo di cammello! Bagnato. Dopo una tempesta tropicale.»
Gli astanti ripresero a respirare. A qualcuno scivolò una lacrima di commozione.
Era arrivato il momento dell’assaggio. Jean Luc de Vignerons si portò il calice alle labbra e bevve il primo sorso, facendolo roteare sulla lingua, contro il palato, a fianco dell’ugola, dietro le gengive, a zig zag contro le tonsille.
Chiuse gli occhi e quando li aprì tutti capirono che di fronte a loro c’era un altro uomo.
Un uomo diverso.
Un uomo che aveva visto e ora sapeva.
«Complessità armoniosa. Gusto vellutato che esplode in rivoli di sensualità damascata. Strutturato. Equilibrato. Alla ricerca di nuove dimensioni tattili-olfattive. Tannico il giusto. Sfacciato e deciso.
Signori, non temo smentita: ci troviamo di fronte a un piccolo miracolo dell’enologia.»
Il compassato pool di studiosi esplose in un applauso liberatorio. Alcuni, i più emotivi, non riuscivano a nascondere le lacrime. Altri si scambiavano virili pacche di compiacimento sulla spalle.
Il professor Marchi si avvicinò a de Vignerons e lo abbracciò commosso.
De Vignerons, altrettanto commosso, infilò con discrezione nel taschino della giacca il cospicuo assegno pattuito come compenso per la sua eccezionale prestazione professionale.
«Hai finito la conversione del file?»
«Sì, sto già facendo l’upload. Dieci minuti e sarà tutto in rete.»
Donna Sofia di Stanzasparuta annuì soddisfatta.
L’esimio biblista Giorgio Marchi, al secolo Francesco Frisoli, docente di informatica forense, degustatore di vini a tempo perso e cugino di donna Sofia, annunciò il caricamento del video con un grido di gioia, a cui si unirono le risate scomposte degli altri «studiosi» del pool: l’amministratore della tenuta di Stanzasparuta, un paio di enologi, il parrucchiere di fiducia di donna Sofia, un paio di amici particolarmente inclini alle allegre bevute.
Brindarono con un onesto rosso di Stanzasparuta. Lo stesso onesto rosso che il de Vignerons aveva demolito un paio di anni prima in occasione di una manifestazione di livello internazionale.
Per anni il sommelier non aveva perso occasione di denigrare i vini della grande azienda pugliese che, fermamente in mano al vecchio don Gaetano per cinquant’anni, era da poco passata nelle mani della nipote Sofia.
Sul video del computer, intanto, passavano le immagini del filmato che, in un’unica sequenza senza tagli, mostrava tutte le fasi della degustazione, dall’apertura del brick di Osteriello al suo travaso nell’elegante bordolese a spalla alta fino alla sua tappatura. L’arrivo di de Vignerons e ogni momento della degustazione erano state riprese nei minimi dettagli.
«Ci pensi tu a condividere e indicizzare il video?» chiese donna Sofia al cugino.
L’uomo annuì con un sogghigno soddisfatto.
Tempo 24 ore e più di ventimila persone avevano già visualizzato il filmato di quella che, per anni, fu chiamata la beffa dell’ Abboccatello di Pietralcino.
©Viviana Gabrini, 2020 (tratto da Peccato che sia un vizio, Prospero Editore)
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