DISCOVERY MINCIO MANTOVA
“I fiumi lo sanno: non c’è fretta. Ci arriveremo un giorno.”
Alan Alexander Milne
Il sole di settembre è ancora caldo e il cielo, di un azzurro intenso, è solo sporcato da una leggera foschia. La barchetta a motore scivola scoppiettando fra le acque placide e verdi del Mincio e procede fra due ali lussureggianti di foglie di loto.
Siamo partiti dalla frazione Grazie di Curtatone, in provincia di Mantova, nel punto in cui il Mincio si allarga e diventa Lago Superiore, per una gita fluviale che mi riserverà non poche sorprese.
Il periodo della fioritura del loto è terminato a fine agosto, ma l’aria di molle disfacimento che si intuisce sulle foglie grandi e carnose non intacca minimamente il fascino di questo mare vegetale, morbido e accogliente. C’è calma e c’è quiete su questo braccio di fiume dove la natura si prepara al riposo autunnale. I cigni, abituati alla presenza umana, si fanno avanti, spavaldi e sicuri e reclamano un pezzetto di pane che raccoglieranno direttamente dalla bocca del barcaiolo. Qua e là avvistiamo aironi cinerini e cormorani, a pelo d’acqua carpe enormi e pacifiche.
Della sontuosa fioritura di luglio e agosto rimangono solo pochissimi loti ancora in fiore, che stupiscono per la loro armoniosa eleganza.
È un posto che invoglia al ritorno e mentre la barca ci porta a zonzo per un’ora e mezza, mi chiedo come sarà la natura da qui a un mese, carica del rosso e dell’oro dell’autunno, come sarà a primavera, con le foglie del loto che rispuntano alla vita e i giovani cigni che si radunano in gruppo per scegliersi il compagno o la compagna per la vita, come sarà in estate, quando la distesa rosa dei loti fioriti avrà ricoperto buona parte della superficie del fiume.
Il barcaiolo che ci accompagna, giovanissimo e appassionato, ci spiega come il loto sia arrivato a Mantova meno di un secolo fa, i suoi usi, le sue proprietà. È poco più di un ragazzo e l’entusiasmo e l’amore che lo legano alla sua terra e al suo fiume glielo leggi negli occhi e lo avverti nelle sue parole.
Scesi dalla barca, una visita al santuario è di rigore: le pareti sono rivestite di parti anatomiche in legno, ex voto di chi è guarito da peste e altre disgrazie. La teoria di statue raffiguranti i sopravvissuti alla condanna a morte è impressionante, così come impressiona il coccodrillo impagliato (dono ricevuto da un Gonzaga qualche secolo fa in occasione di un viaggio in Egitto) che pende dal soffitto. Il muso è rivolto verso l’ingresso del santuario e sta a simboleggiare il diavolo (la peste) cacciato dalla chiesa e quindi dal paese intero.
Un insieme degno della fantasia del miglior Dario Argento, non c’è che dire.
In segno di solidarietà con il povero coccodrillo, me ne esco velocemente dall’edificio e mi rifugio in un più laico e accogliente ristorante, ricco di specialità mantovane, dal riso alla mantovana ai tortelli di zucca, dalla mostarda alla sbrisolona.
E il lambrusco, ovviamente, è di rigore.
© Viviana Gabrini, 2016