SULLE TRACCE DI MONET
“Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce. Insomma, a forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare.”
Claude Monet
In fondo la Normandia, per me, è stata solo un pretesto e il filo di Arianna che mi ha portato a percorrere quasi tremila chilometri in una settimana sono stati i dipinti di Claude Monet.
Inseguire immagini e suggestioni, ricordi scolastici e memorie infantili, quando sfogliavo i cataloghi d’arte di una mamma pittrice dilettante ma di talento, mi ha fatta rimbalzare da Giverny a Rouen fino a Etretat, nel corso di un’estate che fu eccezionalmente mite e soleggiata in quella porzione di Francia di norma umida di piogge.
Il mio pellegrinaggio laico prende avvio proprio dalla cattedrale di Rouen, la cui facciata è un miracolo di grazia e leggerezza: non pietre e nemmeno marmi, ma pizzo traforato e prezioso a costruire guglie, rosoni ed archi a sesto acuto.
A Giverny, la casa che fu di Monet apre le braccia ai visitatori, che sono allegri, chiassosi, colorati e gentili. Si passeggia per le stanze di una dimora antica, dove il tempo sembra essersi fermato a quel 1926 in cui il pittore chiuse gli occhi per sempre.
Mobili originali, tendaggi d’altri tempi, oggetti d’uso quotidiano resi immortali in molti suoi dipinti, lo studio, ampio e luminoso, ricostruito con precisione grazie a diverse foto d’epoca. I quadri alle pareti sono ovviamente copie, ma il colpo d’occhio è emozionante.
E poi, magnifico, il giardino: un miscuglio di colori ed essenze, lontano dalla concezione di giardino che noi italiani ci portiamo dentro, fatto di ordine e geometrie. Perché quel che a Monet interessava, non era la forma, bensì il colore. E dunque, campiture rosse, gialle, bianche e viola. Isole di dalie, rose, lilium, crisantemi, gerani e lavande. Oltre la strada, che un tempo era sterrata, il giardino giapponese, con i suoi salici piangenti e i ponticelli che si stemperano con il verde dell’acqua e il verde degli alberi.
Il mio percorso si chiude alle scogliere di Etretat, dove le falesie, candide e gigantesche, dominano la baia. Da lassù, mi godo l’aria tiepida, il profumo del mare, le bolle di sapone e un tramonto infuocato a cui solo i dipinti di Monet potrebbero rendere giustizia.
© Viviana Gabrini, 2016