Era troppo per crederla vera; così complicata, immensa, insondabile. E così bella, vista da lontano: canyon d’ombra e di luce, scoppi di sole sulle facciate in cristallo, e il crepuscolo rosa che incorona i grattacieli come ombre senza sfondo drappeggiate su potenti abissi.
Jack Kerouac
NEW YORK
Sono a New York? Sì, sono a New York. Sono proprio a New York. Ed è un ritorno a casa senza avervi mai messo piede, è un continuo déja vu mutuato da anni e anni di immagini rubate ai film.
Sono stata nella NY di Colazione da Tiffany e in quella di Manhattan, ho camminato nella NY di Scorsese e di De Niro, in quella di Coppola e di Cimino, ho corso con Hoffman lungo il lago di Central Park.
Ma ora sono qui e ci sono davvero.
Mentre l’auto scivola veloce verso il ponte di Brooklyn, la giornata ci regala un tramonto morbido e vellutato, alle spalle dei giganti di Manhattan.
Siamo stanchi, siamo atterrati da poche ore: otto ore di viaggio e ancora prima una notte di poco sonno e poco riposo.
Poco importa: Fabrizio ha le energie di un ragazzino e non si risparmia nulla. Io gli vado a ruota, ingombrante ma entusiasta bagaglio che per la prima volta si trova ad annusare, assaggiare, mordere un mondo completamente nuovo.
Cena a due passi da Broadway in un affollato ristorante libanese: hummous e mojito, baba gannouj e moussaka; quando rientriamo in albergo sono le 11 di sera ora locale, le 6 in Italia e siamo svegli da 24 ore. 24 ore in cui abbiamo fatto l’amore tre volte e abbiamo attraversato l’oceano.
New York caotica e rumorosa, New York perenne cantiere in corso, New York che cambia ogni minuto per rimanere fedele a se stessa.
© Viviana Gabrini, 2016
Grande jack granDe vi