ISTANBUL
Sulla parte del battello che ci riporta in città siamo rimasti in pochi temerari. La maggior parte dei viaggiatori ha preferito rimanere al coperto ma io, testa e viso avvolti da una pashmina, rimango a fissare i giochi di luce sull’acqua e a godermi gli ultimi raggi di sole che, già so, mi arrosseranno fronte e naso.
La guida ha esaurito il suo compito e fuma una sigaretta in silenzio.
Qualcuno parlotta.
Io, come spesso mi succede, mi immergo nei miei pensieri e mi estraneo da tutto e da tutti.
A risvegliarmi, le preghiere dei muezzin.
Prima dalla sponda sinistra del Bosforo, poi da quella destra, le voci calano, si incrociano, si alternano, diventano un canto carico di suggestione e di forte impatto emotivo.
Strana sensazione, sentirsi soli in un universo così affollato.
Ed è una solitudine piacevole, goduta.
E’ un prendere contatto con se stessi, vedere finalmente i propri contorni, sentire il mondo attorno a sé.
Istanbul ha spunti affascinanti, ma innamorarsi di una città (come di Roma, come di Parigi) è un’altra cosa.
Mai come in questa città mi ero sentita carne da macello turistico: essere pollo da spennare fa parte del gioco, ma l’insistenza eccessiva, la difficoltà di fare due passi in pace mi hanno creato non poco disagio.
Città di confine, in bilico fra oriente e occidente, dove la popolazione si professa musulmana ma non disdegna di vendere (e di bere) alcolici, Istanbul sembra indecisa fra il disprezzo per l’Europa e il desiderio di farne parte.
E così, donne imburqate e velate fino agli occhi passeggiano a fianco di ragazze che ancheggiano sui tacchi alti, mentre grattacieli avveniristici incombono su case di legno fatiscenti e corrose dagli anni e dalla povertà.
Tram e aiuole tenuti con rigore direi svizzero contrastano con bettole dove mangi quasi accucciato su tavoli di dubbia pulizia e dove il cuoco governa la griglia tenendo una sigaretta fra le mani, così come a Santa Sofia l’immagine della Madonna convive con i simboli di Allah e di Maometto.
How are you? How are you?
Se ti sbagli a camminare da sola per strada te lo senti chiedere un milione di volte ma in quei sorrisi maschili sfrontati c’è un che di sgradevole, che mette a disagio.
Le donne no.
Le donne sono diverse dai loro uomini.
Le donne hanno sorrisi che sembrano sinceri e visi gentili e occhi amichevoli.
Anche quando ti ricordano che nella moschea ci devi entrare con il capo coperto, lo fanno col sorriso sulle labbra.
Eppure, qualcosa di buono ci deve essere in una popolazione che ama così tanto i gatti.
E Istanbul, città gattara è.
Li trovi in ogni angolo, veri padroni della città.
Mai timorosi, spesso arroganti nel pretendere cibo, ospiti indisturbati di bar e negozi e giardini e strade.
Ognuno, come al solito, ha la sua formula magica e ti dice come avresti dovuto vivere la città.
Hai fatto questo? Hai visto quell’altro?
Perché sembra che se non hai mangiato il tal cibo o visto la tal strada, sei destinato a non aver capito nulla di quello che hai vissuto o di averlo capito male.
Beati quelli che han sempre le risposte giuste in tasca.
© Viviana Gabrini, 2016