La regina della chat

La vetrina del negozio le restituì un’immagine che la rinfrancò: il ciuffo biondo platino scendeva ordinato e compatto a coprirle la fronte, mentre gli occhiali scuri le davano un’aria vagamente misteriosa e aiutavano a celare quelle antipatiche rughette che le appannavano lo sguardo.
La figura era solo leggermente appesantita dagli anni e la gonna, aderente, si apriva con uno spacco profondo che scopriva le gambe ad ogni passo.
Quando si sarebbe seduta avrebbe accavallato le gambe in modo che chi le stava di fronte avrebbe notato che portava calze autoreggenti e non indossava intimo.
Sì, si disse soddisfatta, sono ancora una bella donna, una donna che piace.
Allungò leggermente il passo, ma senza esagerare.
Non voleva arrivare in ritardo ma nemmeno presentarsi al suo cavaliere con il fiatone.
Non sarebbe stato consono al suo personaggio.
Un personaggio che si era costruita con cura e tenacia in anni e anni di frequentazione di una chat di cui sentiva la regina incontrastata.
Non c’era femmina di cui lei potesse temere la rivalità.
Non c’era donna abbastanza bella, abbastanza giovane o abbastanza seducente che potesse starle al passo.
Lei, che giovanissima non era più, si era costruita una corte adorante ed osannante.
Immagini ammiccanti, post maliziosi, risposte languide, un’atmosfera di diffusa sensualità che negli anni aveva dato i suoi frutti.
Gli uomini di quel sito la adoravano.
Pendevano dalle sue labbra.
Agognavano un incontro con lei.
Certo ogni tanto qualcuno le diceva di no, ma lei era brava a ricordare quei rifiuti come se li avesse decisi e non subiti.
In fondo, si trattava solo di cambiare qualche regoletta del gioco.
Una vera donna non corre dietro ad un uomo. Si lascia rincorrere, aveva sentenziato in uno degli ultimi post, uno dei più visitati e commentati.
Nemmeno sotto tortura avrebbe ammesso che spesso era lei a cercare gli utenti della chat mandando mail maliziose ed ammiccanti, ma che male c’era ad aizzare le braci di un fuoco che minacciava di spegnersi?
Le mie non sono bugie, si giustificava, sono quasi verità.
Da lontano, intravide la figura dell’uomo che la stava aspettando.
Sì, è lui, pensò.
E prese a sorridere.
Era alto, bruno, spalle larghe e fianchi stretti.
Nelle foto che le aveva mandato aveva un sorriso bellissimo.
Ed aveva almeno quindici anni in meno di lei.
Era il suo piccolo debole, quello di provare attrazione per uomini tanto più giovani.
Certo nel profilo aveva scritto che voleva compagni consoni alla sua età, ma in fondo lei non si sentiva più di quarant’anni.
Che cosa aveva da spartire con quei noiosi sessantenni, quei lugubri settantenni che frequentava per lavoro, dai corpi molli e dai contorni tremuli, dalle bocche riarse dagli anni e dagli sguardi appannati dal disincanto?
Rallentò il passo e studiando una falcata sicura e sensuale, gli si parò davanti con il migliore dei suoi sorrisi.
Con voce bassa e sensuale, lo salutò, dicendogli il suo nome.
Quando incrociò il suo sguardo, il sorriso le si trasformò in una smorfia.
L’uomo, che in quel pomeriggio milanese di tarda primavera indossava jeans, camicia e scarpe sportive, la stava squadrando con freddezza e nei suoi occhi lei non vi lesse né simpatia né ammirazione.
C’era altro. Un altro che però le sfuggiva.
Lo sguardo di lui le si appuntò sullo spacco che le lasciava scoperte le gambe, sui tacchi a spillo, sulla scollatura che scopriva l’attaccatura dei seni.
Ti sembra il caso? le chiese lui scandendo le parole con calma.
Io vesto così anche in casa, rispose lei con un risolino cercando di mascherare sorpresa e disappunto.
Bene, le fece eco lui, sempre più calmo, allora forse è opportuno che ti ci riaccompagni, a casa.
Le parole cattive e crudeli dell’uomo la fecero avvampare e senza nemmeno dargli risposta lei girò sui tacchi, ripercorrendo a grandi passi la strada da dov’era venuta.
Dolore, rabbia, umiliazione la spingevano ad allontanarsi quasi di corsa.
E quasi di corsa fece le scale della metropolitana, per tuffarsi nella prima carrozza e lasciarsi riportare a casa.
Quando fu di nuovo nel suo appartamento, si lasciò andare contro lo stipite della porta.
Maledetto, ripeteva con rabbia, maledetto, maledetto.
Era furente, livida di rabbia, gonfia di umiliazione.
Non riusciva a scrollarsi dal ricordo lo sguardo di lui: disprezzo? Odio? Che cosa le dicevano quegli occhi?
Con gesto di stizza scagliò lontano le scarpe, poi si sedette al computer, lo accese e attese che la connessione aprisse la pagina della chat.
Calma, si ripeteva come un mantra, calma, calma, calma, le mani che le tremavano leggermente posate sul piano della scrivania.
Finalmente il computer le rese la home della chat.
Con un click sul menu aprì una tendina con una decina di nick, tutti diversi.
Ne scelse uno maschile, il suo preferito: MagicoMistero.
Si loggò e subito entrò sul proprio blog, dove campeggiava una fantastica fotografia dei suoi seni.
Sei una donna meravigliosa, prese a scrivere con foga, ho ancora nella memoria i magici istanti del nostro incontro che mai potrò dimenticare, nemmeno vivessi mille anni, sei un distillato di femminilità e sensualità, donna unica e inarrivabile. fortunati gli uomini che possono arrivare a conoscerti.
Click, invio.
Meno di un’ora e il commento avrebbe fatto bella vista di sé, aumentando il suo prestigio di regina incontrastata della chat.
Con un sospiro, si abbandonò contro lo schienale della sedia.
E poi capì.
Capì cos’aveva visto nello sguardo dell’uomo, poche ore prima.
Né odio né disprezzo.
Compassione.
Chiuse gli occhi e lasciò che una piccola lacrima le scendesse fino all’angolo della bocca.

©Viviana Gabrini, 2015 (tratto da I fili di Arianna, Primula Editore)
©Immagine Pixabay

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