Finché quest’acqua nervosa e scura ci vorrà portare in braccio addormentati senza tremare, figlio. La paura non avrà porte.
E adesso che il vento cambia – e da ghibli si fa pigro scirocco – credimi se ti dico che il mare non risponde perché non sa, o forse ha imparato e sta muto per non ferire.
E se la muffa che imputridisce il legno marcito si arrenderà se la Signora cannibale mi porterà a fare un giro lungo cento volte cento i passi seminati per il mondo, tu lascia che la chiatta sia un guscio che culla al mio posto.
Così la paura non avrà porte in questo barcone di sogni in cui abitano cinquecento miraggi, tutti diversi e tutti uguali cinquecento colati a picco e pochi altri che si ostinano a volare.
Oggi non so più che giorno sia, quanto pane ci getteranno i lupi, o se soltanto una lacrima d’acqua potrà bagnarti le labbra, ancora, ma io ripeto il mio canto, canto che batte i suoi colpi, che insiste e questo mare non ti mangerà come un pesciolino seccato al sole.
Forse la prima cosa che vedrai sarà una divisa indulgente o l’albero dei bergamotti narrato nel maqamat dei padri.
Forse, pensa amore, la prima cosa saranno baci non miei baci di un altro colore, dolci come paste di mandorle speziati come la tristezza.
E adesso che il vento si alza e scuote, e spaventa, che la decima notte trasforma l’acqua in melma d’olio
e la fa granito e sepolcro, ragnatela e roveto io ti ripeto ancora che la paura non avrà porte.
Che sarà serrata ai margini di un ricordo buono frantumata da carezze, seminata come briciole nel bosco.
Sull’orlo di un mondo giusto che spetta a tutti o a nessuno.
©Katia Colica
©Marco Costantino (foto)