La grigliata italiana

Diciamo la verità, non è più possibile andare a fare la spesa senza prima consultare uno di quegli allegati culinari che compri insieme al Quotidiano, ti senti in colpa o comunque fuori dal giro se scegli la
marca sbagliata di pasta o la verdura anche solo appena fuori stagione. Sei a fine dicembre e hai voglia di mangiare una zucca o i tuoi figli ti chiedono di rifare quella torta dolce che hai realizzato per Halloween? Non puoi farci nulla, l’ortaggio (la cucurbitacea, per essere precisi) va acquistata esclusivamente tra novembre e dicembre, dunque, se sei in preda a quel folle desiderio a fine dicembre, sarai facilmente portato a procrastinare l’acquisto a “dopo capodanno” e allora sarà troppo tardi, sarai out, passibile di giudizi espressi in maniera poco civile sui social e dovrai subire in silenzio perché non avrai ragione. È tutto spiegato nell’ultimo fascicolo de “Il Fatto Culinario”.
Esistono una decina di pubblicazioni d’informazione gastronomica in Italia e letteralmente migliaia di testate a livello regionale e locale, ma tra i quotidiani nazionali Il Fatto si è imposto come la voce più
spaventevole e temuta dai professionisti del settore.
Il suo orientamento è dichiaratamente crudista, dunque si occupa di cucina in generale ma tratta qualunque pietanza cucinata a una temperatura superiore a 42° come un abominio, un turpiloquio
culinario, un aborto di cottura e il creatore di tale scempio viene presentato come un malfattore da punire, butta via il mestolo!
Era aprile, l’Italia si risvegliò sotto un’anomala coperta di neve e subito dopo le prime ore di stupore e gioia fanciullesca, i consumatori si resero conto del problema: cosa ne sarebbe stato di
tutta la frutta e la verdura di stagione? Gli asparagi, gli agretti, i cipollotti e la lattuga, e poi le fragole, delicatissime, i limoni e le pere, un disastro. Le edicole furono prese d’assalto da un popolo di
affannati lettori che avevano bisogno di calmare l’ansia con delle precise istruzioni da seguire in quel momento di crisi. Si chiedevano: sarà lecito importare frutta e verdura dall’estero, vista l’eccezionalità
della situazione? Soprattutto, sarò giudicato se compro ravanelli spagnoli? O sarò messo all’indice sui social, trasformato in un meme come archetipo del nemico della patria? Inventeranno un hashtag
per mettermi in difficoltà, sarà usato da tutti i colleghi di lavoro, mi vedrò costretto a ingoiare ovuli di verdura importata per non essere scoperto, viaggerò insieme ai narcos utilizzando rotte protette,
troverò microspie in casa mimetizzate da lenticchie? Orrore!
Avranno scoperto che non mangio le lenticchie solo a gennaio?
L’alimentazione era diventato un argomento ossessivamente ricorrente nelle discussioni, tanto da surclassare persino il calcio. A tutti i bambini veniva impartita una fede culinaria e un battesimo col
sacro crisma: extra vergine d’oliva per la Chiesa Vegetale e di palma per la Chiesa Onnivora. A sei anni il bambino doveva essere il grado di versare il sale nella pentola piegando il gomito e facendo un gioco
di polso, tac, veloce ed elegante. A nove era necessario saper impiattare. Erano diventate le regole del saper vivere civile. La gente chi dice che Io sia? Un erudito assaggiatore, mio Signore, in veritas
in veritas: di-vino.
Lo chef Gino Lucarelli scorreva la sua rassegna stampa quotidiana fatta di opuscoli vari, allegati ai giornali di ogni dogma e schieramento, per verificare che il suo nome fosse sempre alto in ogni classifica di gradimento.
«Annamaria, non ti agitare, la lattuga non soffrirà come sembra, vedrai che non ci ridurremo al succo di verdura surgelato. Lasciami lavorare che non riesco a concentrarmi.»
«Ma che lavoro! Passi ore su quelle classifiche con la paura di essere declassato a sguattero, non puoi vivere con l’incubo di diventare l’ultimo Chef Rubbo, eh!»
«Tu scherzi, ma quella è solo una questione politica, perché Rubbo gli gnocchi co ‘e recchie de topo li sa fare. E se…»
«Papà, come si scrive “penne”?»
«Santino, fai parlare papà. E dicevo, se un giorno arrivasse un…»
«Papà, ma con due enne, vero che con due enne?»
«Ma che cosa Santino, mannaggia al maccherone, che vai blaterando?»
Un bambino sugli otto anni se ne stava in piedi, con aria di grande importanza, una pubblicazione in mano, dritto come se dovesse dirigere un’orchestra. Gli occhi esprimevano una grande preoccupazione ed era chiaro che non avrebbe mollato la presa senza una risposta dal padre.
«Papà mi dici come si scrive “penne”? Come quelle che scrivono, come le piume, come la pasta, come…»
«Come le penne Santino, ho capito, le penne, p-e-n-n-e, le penne Santino, va bene?»
Su quel faccino serio si avventurò un piccolo ghigno «e allora Peter Fester del Fatto ha sbagliato» cantilenò, fiero di essere un bambino che può correggere un adulto.
«Cosa ha sbagliato? E che ci fai con l’ultima copia del Fatto? È mio, è una cosa di lavoro, non l’ho ancora letta. Dammi qua, prima la uso io e poi ci giochi tu.»
«Ma Fester non sa scrivere, non è divertente? Guarda, c’è un articolo su di te: “Chef Gino Lucarelli, pene e formaggio, dalle stelle alle palle”.»
Lucarelli gli strappò la pubblicazione dalle mani e subito avvertì una vampata farsi strada dalla schiena fino alle orecchie.
Era lui, il sagace Peter Fester, giornalista di punta de Il Fatto Culinario, famoso per i suoi eleganti giochi di parole e per la tenacia con la quale restava attaccato al polpaccio della sua preda. Fester identificava ogni non-crudista come nemico personale, faceva un dossieraggio sulla vita di ogni cuoco non ortodosso, spingeva il muso nella vita della vittima e grugniva e ansimava finché non trovava una piccola breccia da sfondare con i suoi calembour.
Erano anni che puntava Lucarelli, reo di aver portato in auge la “grigliata di carne coltivata e insetti”, un piatto ritenuto blasfemo per la cottura a fiamma alta, chiaro riferimento all’Inferno di Dante e per l’utilizzo di materie prime impure, pubblicizzate dalle lobbies della Scienza.
Una volta c’era il Gender, oh sì, Mille non più Mille, e poi il Woke e le donne che se ti scappa un fischio per recuperare una pecora quelle si girano e ti denunciano, e poi le parole, non si poteva più
parlare di finocchi che i froci s’indignavano e allora gli anticlericali, i mangia-prete, gli strozzapreti, tutti i filistei si erano appropriati delle parole, così che i puri e le ultime vestali della morale dovettero
bruciare i libri, tutti i libri, con le loro parole corrette, con i loro asterischi e i testi ritradotti. Alla fine ci furono le elezioni politiche, le larghe intese, il campo slabbrato, tutti dentro per ricostruire il
tessuto sociale con un “Governo di riconciliazione”. Il popolo reclamava giustizialismo e sicurezza dell’afflizione, e avendo ormai distrutto ogni forma di cultura mainstream, dedicò tutta l’attenzione
alla costruzione di un nuovo dogma: quello alimentare. Non più Destra e Sinistra, ma Veg e Onnivori, Cannibali e Crudisti, non più terrapiattisti e scettici dell’allunaggio ma esperti sciamani
dell’agricoltura biodinamica, insegnanti di balli propiziatori da dedicare alla madre luna quando sale la marea e si entra nell’anno del Pomfo.
Lucarelli leggeva l’articolo facendo scivolare le pupille sul testo a una velocità folle, gocce di sudore acido negli occhi.
Marianna era allarmata mentre il figlio osservava la scena in estasi.
«Gino, ma che ha scritto quell’ignobile stufato di vacca?»
Lui non parlava, continuava a sussurrare mentre leggeva furiosamente.
«Gino, ti prego, che c’entrano le pene? Dimmelo.»
Lucarelli si girò con una lentezza inquietante e la fissò con gli occhi rossi e lucidi «non le pene, ma IL pene. Questo aborto di tubero ha scritto che nel nostro bistrot serviamo peni! Tesoro, luce della mia
vita: peni, cazzi, sventra-patata…» prese fiato e urlò «SWANSTUCK!»
Lo chef comincio a rovesciare ogni cosa mulinando ferocemente le braccia, tirò giù collezioni di pubblicazioni dagli scaffali formando
ondate così grandi da poterci surfare sopra, urla furiose, gli occhi sporgenti di una bambola di gomma strizzata dalla mano di un bambino.
«SWANSTUCK!» continuava a urlare, mentre la moglie trascinava in salvo il bambino in camera sua «nasconditi sotto il letto e non uscire se non ti chiamo io», gli raccomandò e tornò a occuparsi del
marito.
Lo trovò seduto per terra, in lacrime.
Tentennava spaventata ma anche furiosa perché quel bistrot lo avevano aperto insieme, era l’azienda di famiglia da lasciare al bambino. Si avvicinò con cautela al marito «cosa facciamo adesso?»
Lui ormai sfinito riprese contezza di sé e le rispose «se li denuncio questi mi trascineranno in prima pagina ogni santissimo giorno che dio-gourmet manda in Terra. È finita.»
«Ma è una menzogna, ci sarà pure modo di dimostrarlo.»
«E mentre io imploro i nostri clienti di credere che questi nella foto non sono dei cazzi ma larve di palma, i maledetti continueranno a predicare al resto del mondo che facciamo a pezzi le persone e le
serviamo a tavola.»
«Devi chiamare il Giornale e pretendere di parlare con quel fagioletto bollito, ci devi parlare.»
Nel suo appartamento in centro, Fester era al lavoro sul pezzo successivo da dedicare a Lucarelli. Si appuntava delle trovate che gli sembravano divertenti e ficcanti, si concentrava sul titolo che è
sempre la parte più importante di un articolo e cercava di dare forma a quel grappolo di idee che si riproducevano veloci e inesorabili come le cellule di una verruca. Il dito scorreva veloce sul
laptop, intercettava una freddura su un social, sì questa la posso modificare e subito copia-incolla sul documento appunti, e ancora, scorreva i blog per adolescenti in cerca di idee nuove, copia-
incolla…
Un leggero bussare alla porta «Dotto’ posso disturbare? C’è unatelefonata.»
«Sono occupato.»
«Dotto’ però, non so se è urgente, è la signorina dell’ufficio.»
«Armanda, quando sono qui non mi deve disturbare, mi sento perseguitato. Mi lasci in pace.»
Lei esitò, ma le era stato chiesto di trascinarlo al telefono perché era importante, «dottò, non si arrabbi con me ma dovrebbe proprio fare presto, io non c’entro niente, per favore.»
Fester si alzò digrignando i denti e maledicendo quella orrenda donnona butterata che aveva avuto il cattivo gusto di assumere come colf a mezzo servizio, si chiuse i pantaloni e scaricò il water «arrivo, crisma sbollentato, arrivo.»
La segretaria della redazione lo avvisò che Lucarelli aveva telefonato per parlare con lui, sembrava piuttosto alterato e aveva lasciato i suoi recapiti. Fester si appuntò il numero e decise di lasciarlo
macerare ancora qualche ora prima di contattarlo.
La mattina dopo il telefono squillò.
«Andiamo al sodo Fester, cosa vuoi?»
«Vorrei che il mondo fosse libero dai bruciatori di cibo e dai menzogneri, gli impuri, gli infedeli, i falsi profeti di cibo infetto. Ma ritengo che ciò sia impossibile, vero Ginetto?»
Assunse un certo tono didascalico e ricominciò a sermonare.
«Ci furono conflitti accesi, tutti contro tutti, il caos e la degenerazione alimentare, finché fu fissato Il Canone e ristabilito l’ordine. Il Crudismo è Il Canone e la vera, unica tradizione mediterranea che tutto il mondo ci invidia. Le tue diavolerie, gli insetti e dio-polenta! i tessuti creati in laboratorio sono la devianza
che va abbattuta.»
«Cosa diavolo cambia a te e ai soci del tuo “club del tiepido” se oltre ai vostri frullati la gente può mangiare anche una bistecca? E poi, quale tradizione mediterranea? Una volta la gente mangiava di tutto,
siamo figli di generazioni cresciute nei fast food, come nelle trattorie e pasta all’uovo, e la pizza! Te la ricordi la pizza?»
«Ma quale pizza? È un’americanata, un’invenzione dei film e tutti voi, cuochi modaioli, eccovi pronti ad avvelenare le menti della gente con questa roba da importazione. La purezza della cucina, la
vera tradizione italiana è crudista. Sono le nostre radici. È Il Canone.»
«Ho vinto premi internazionali grazie alla mia grigliata mista. Ho vinto come miglior cuoco italiano a Italian’s got Kitchen, ho portato quel piatto…»
«Quel piatto avrà vinto tutto quello che ti pare ma non è un piatto italiano e non lo sarà mai.»
«È questo che vuoi? Vuoi che la mia grigliata venga dichiarata piatto esotico? Vuoi che le venga tolto il marchio IGP?»
«Quella schifezza di grigliata non sarà mai IGP, non mi interessa che qualche burocrate di Bruxelles abbia deciso di inzozzarci e umiliarci dichiarando i tuoi peni un piatto tipico italiano.»
«Ma dio-vegano! Non sono peni, sono larve!»
«Io guardo la foto della tua porcata e vedo un piatto del cazzo.»
«Restano larve.»
«Menti. Ho le prove. Ci sono centinaia di video su You Tube che ti smascherano e articoli di chef che hanno analizzato i filmati delle tue apparizioni in TV e hanno dichiarato che si tratta di falli umani.
Posso dimostrarlo.»
«Ma è gente fuori di testa che si sente importante alimentando complotti crudisti, maniaci, poveracci che una volta parlavano solo di vaccini coi feti dentro.»
«Sono onesti e devoti cittadini che vanno al ristorante ogni domenica, coltivando e proteggendo le sane e reali tradizioni del Paese, le tramandano ai figli, danno una mano in questi tempi bui. Votano.»
Votano.
Lucarelli era sfinito.
«Cosa vuoi da me? Cosa?»
«Nulla. Ho già ottenuto ciò che volevo. Io combatto per rimettere a posto questo mondo culinario al contrario. Sono l’umile mestolo di Dio. E tu sei finito.»
Si richiuse la patta e tirò lo sciacquone.

©Ale Ortica

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