Quando nel 2013 pubblicai il mio primo romanzo in lingua albanese intitolato Gjembi dhe trëndafilat (La spina e le rose), mai e poi mai avrei pensato che le storie narrate sulle sue pagine mi avrebbero permesso di conoscere dopo tanto tempo a chi appartenessero. È stato uno shock trovare in carne e ossa le donne di cui parlavo nelle storie che compongono il libro.
Sono nata e cresciuta in Albania. Appassionata da sempre di letteratura, sin da piccola ho scritto delle poesie e racconti. Naturalmente, nella maggior parte di questi racconti si elogiava il Partito e il suo leader glorioso Enver Hoxha. Non si poteva fare diversamente. Ho continuato a scrivere fino alle superiori e un po’ meno durante gli anni universitari perché ho studiato tutt’altra cosa. Durante il regime, era lo Stato che decideva cosa dovessimo studiare. Lo Stato aveva bisogno di ingegneri e perciò mi sono laureata all’Università di Tirana alla Facoltà di Ingegneria Edile nel 1991.
Quando ero ragazzina, sentivo raccontare tante storie e non capivo perché i grandi abbassassero la voce o si zittissero quando mi avvicinavo. Oppure quando piangevo e dicevo alla mamma che volevo il latte. La mamma mi diceva di non gridare perché ci avrebbero sentiti, che il latte nei negozi c’era, ma che lei non aveva avuto il tempo di comprarlo. Eppure il latte mancava, così come la pasta, lo zucchero, il caffè, la legna per scaldarsi, il cherosene per cucinare, l’abbigliamento. Ma non si poteva protestare: per una cosa del genere si finiva dritto in galera. Crescendo, ho capito con orrore che tutte quelle storie dette sottovoce erano vere e ho deciso di narrarle in un libro.
Quella notte, fino alle prime ore del mattino, le tre guardie la stuprarono a turno, e senza essere contenti alla fine la violentarono tutti e tre insieme in modo bestiale. Mira rivisse ancora un’altra volta il terrore dello stupro e della sottomissione. Voleva anche provare a pensare a cose belle, distogliere la propria mente dal suo corpo usato come oggetto di godimento brutale, ma era inutile. [Verginità Rapite, pag. 78]
In questo brano racconto la violenza brutale subita dalla protagonista del libro in una delle famigerate celle del regime. Dopo l’uscita del libro, mi hanno contattato tante donne che non conoscevo, confidandomi in lacrime che ognuna di loro condivideva un pezzo della storia di Mira. Una di loro era una mia amica d’infanzia. Da allora non avevamo avuto più nessun contatto. La ricordavo a quindici anni – l’età della protagonista del libro – con i suoi capelli ricci e neri. Poi, un giorno non tornò più a scuola e persi le sue tracce.
Mi ha contattato dopo trent’anni tramite i social. Mi ha detto il suo nome… Ho guardato la foto del profilo; i suoi capelli ricci erano inconfondibili. Era lei, la mia bella amica; abitava in un Paese Europeo. Ero felicissima di averla trovata. Mi ha scritto: Ho letto il tuo libro.
Le ho risposto che ero contenta. Lei, subito dopo mi ha mandato un altro messaggio: Ti devo parlare, accompagnato con una emoji con la faccina in lacrime. Le ho detto che potevamo parlare quando voleva e le ho mandato il mio numero. Mi ha risposto che voleva parlarmi a quattr’occhi. Tutto quello che avevo immaginato che lei mi potesse dire, era anni luce lontano da quello che ascoltai tre mesi più tardi.
E così, in un giorno d’estate del 2014, ci siamo incontrate nella mia casa a Durazzo. Lei aveva fatto un lungo viaggio per raccontarmi una cosa che non aveva raccontato mai a nessuno. Neanche alla sua mamma, alle sorelle, a suo marito, alla sua psichiatra. Dopo quello che le era successo era finita in un Istituto di Salute Mentale per diversi anni.
Mi abbracciò e senza staccarsi da me mi disse nell’orecchio come se avesse avuto vergogna o paura che qualcuno ci avrebbe potuto sentire: «Io ho subito lo stesso stupro come quello di Mira nelle celle della dittatura. Esattamente come lo racconti tu… Oh mio Dio Ismete, oh mio Dio! Non l’ho mai raccontato a nessuno, mi vergognavo, mi sentivo sporca, colpevole. Quando ho letto il tuo libro mi si è aperta una luce, uno spiraglio per uscire da tutto questo buio dove ho vissuto per tanti anni. Il fatto che lo hai scritto tu, la mia amica d’infanzia, mi ha dato forza e coraggio di parlarne. Perché tu non mi vedi come colpevole ma come vittima».
Anche se sapevo bene che queste storie fossero vere, ascoltarle da coloro che le avevano subite mi ha scosso profondamente. Ma allo stesso tempo mi ha dato la forza e il coraggio di raccontare questi orrori. La consapevolezza delle atrocità commesse è fondamentale per il loro superamento, è l’antidoto della coscienza affinché non accadano mai più. La scrittura è un’ottima “arma” pacifica e importante in questo percorso. Perché arriva dritto nel cuore.
La mia amica è tornata a casa sua, lontana migliaia di chilometri da quelle orrende celle oramai abbandonate e ha raccontato tutto alla sua dottoressa. Mi scrive spesso e mi dice che sta meglio. Finalmente dopo tanto tempo ho capito che non è stata colpa mia, ma degli carnefici, mi ha scritto un anno fa.
Buona vita amica mia!
©Ismete Selmanaj Leba, 2019
Ismete Selmnaj Leba è di madrelingua albanese e tutto il ciclo scolastico l’ha concluso in Albania. La sua scrittura in un’altra lingua, l’italiano, è semplice e potente e non son stati fatti interventi di editing (a parte piccole cose) proprio per lasciare a lei il suo modo di esprimersi anche in quella che non è la sua madrelingua. (n.d.r.)
Laureata alla Facoltà di Ingegneria Edile a Tirana nel 1991. Abita in Italia dal novembre 1992. Sposata dal 1992 e madre di tre figli. Autrice di diversi romanzi pubblicati in Albania e in Italia.
Romanzi pubblicati in Italia: Verginità Rapite, Bonfirraro Editore (2015; Vincitor del Premio Sicilia; finalista del Premio Letterario Giornalistico Piersanti Mattarella nel 2017. ); I bambini non hanno mai colpe, Bonfirraro Editore (2016. Ha vinto il Premio Assoluto Holmes Awards 2019. Settembre 2019, Etnabook – Festival Internazionale del Libro e della Cultura); Due volte stranieri, Besa Editrice (2019, è stato scelto come testo di lettura in diversi istituti e scuole medie di Sicilia.).
Ha pubblicato anche diversi racconti.
Titoli dei romanzi in lingua albanese pubblicati con la casa editrice Dudaj: Gjembi dhe trendafilat (La spina e le Rose) e Kokat e dy lejlekeve te purpurt (Le teste dei due aironi rossi) 2014, entrambi promossi alla Fiera del Libro a Tirana nel 2013 e 2014. I libri I bambini non hanno mai colpe e Verginità Rapite sono stati adottati come testi di studio per il corso di “Scienze della comunicazione per la cultura e le arti” presso l’Università di Palermo alla Facoltà di Lettere e Filosofia e scelti come libri di lettura nel progetto Libriamoci – Giornate di Lettura Nelle Scuole, promosso da MIUR.
Da tempo sto cercando di avvicinarmi alla letteratura albanese e dell’Est Europa, per capire meglio la situazione femminile nella nostra società contemporanea. Ismete Selmanaj Leba finirà subito nella mia wish-list! Grazie 🙂