Sgocciolature
Il pavimento di legno usurato che scricchiola al mio passaggio. E’ macchiato, emana un forte odore di trementina e di solventi. Ricorda un’officina. Macchie di olio, polvere, legno scheggiato, colla raggrumata mista a colori solidificati.
Ho steso un enorme pannello, ma la stanza è abbastanza grande per permettermi di girarci intorno.
Ho messo in fila come se fossero canne di un organo, tutti i barattoli di vernice industriale, gli acrilici, gli smalti. E pezzi di vetro, materiali organici e industriali che ho trovato intorno alla casa e nei miei giri in macchina.
Le vernici stordiscono, non sono quelle dei pittori, sono da ferramenta.
E poi bastoni e pennelli.
Anzi pennelli usati come bastoni.
Giro intorno al pannello mentre fumo, e penso.
Poi prendo il pennello e lo immergo nel primo colore. Non tocca la superficie.
Sono sopra, a un palmo dal pavimento. Dirigo il colore come una bacchetta da direttore, guido la casualità. Poi un altro colore, non lavo il pennello. Uso lo stesso sporco del precedente colore, oppure ne uso diversi, come se stessi suonando, con una mano, con entrambe.
Mi chiedono spesso se sia difficile da controllare, un pennello usato così.
No, mi sento più libero, mi muovo, sono a mio agio.
Non è difficile controllare i movimenti, ho esperienza, credo di riuscire a controllare l’uscita del colore.
Non utilizzo il caso, perché nego il caso.
Cosa sto creando?
Ho un’idea generale di quello che voglio ottenere e di quello che sarà il risultato.
Io lavoro direttamente come se stessi disegnando. Niente di preparatorio, nessuno studio di colore.
Se agisco direttamente ho più possibilità di arrivare ad esprimere le mie idee.
Ogni opera è un percorso a sé, unico.
Mi sento a mio agio con questi pannelli giganteschi, queste sgocciolature che si intersecano.
Un mio quadro reinventa uno spazio, non è inserito dentro una stanza, la ridisegna. Per questo ho bisogno di superfici ampie.
Dirigo il bastone/pennello dove io voglio e dove lui sa.
Dialoghiamo in silenzio.
Giro intorno, non c’è un sopra o un sotto, qualche volta ci cammino dentro, anche se non mi serve entrare nella tela, la completo da ogni lato.
Poco importa il modo in cui si dipinge quando si dice qualcosa. La tecnica è solo un mezzo per arrivare a un’idea.
A volte ho molta capacità di rappresentare, anche se di solito ne ho poca. Ma se tu dipingi il tuo inconscio, le figure devono per forza emergere. Tutti noi siamo influenzati da Freud, mi pare. Io sono stato a lungo junghiano… la pittura è uno stato dell’essere…la pittura è la scoperta di sé. Ogni buon artista dipinge ciò che è.
Racconto immaginario della creazione di un’opera di Pollock. Le parti in corsivo sono tratte lettere e riflessioni di Jackson Pollock e da due interviste fatte da Pollock alla stazione radio di Sag Harbor e a New York, rispettivamente nel 1951 e nel 1957.
©Stefania Morgante
PER COMMento a questa bel testo una mia poesia scritta anni fa, sul vecchio blog di un amico:
http://www.markelo.net/2004/11/24/su-di-un-dipinto-di-jackson-pollock-numero-1-1948/