QUESTA CASA NON E’ UN ALBERGO
Questa casa non è un albergo. Quante volte me lo hai ripetuto, mamma. E non è che non ti ascoltassi è che era solo uno dei tanti rimproveri scherzosi che mi lanciavi dietro prima che uscissi da casa per andare con gli amici. Sono le undici di sera, la gente normale a quest’ora va a dormire… borbottavi in camicia da notte mentre io, vestito di tutto punto, ti sfioravo la guancia con un bacio frettoloso e uscivo per andare a ballare, o al pub, o in giro senza una meta precisa con Alessio, Paolo, Elena e tutti gli altri. Girovaghi di notti senza fine che riempivamo di chiacchiere, fumo e birra. Tornavo la mattina e ti trovavo ancora in camicia da notte che ti eri appena alzata. Sono le sette, le persone normali si alzano a quest’ora, dicevi. Vabbè, mamma, rassegnati, non hai un figlio normale. Sbuffavi, andavi in cucina a preparare il caffè. Preparavi due tazze, una per me e una per te, senza mai chiedermi se lo volevo e io l’ho sempre bevuto, seduto davanti a te, anche se avevo appena fatto colazione in qualche bar. Non avrei rinunciato per niente al mondo a quei brevi minuti che trascorrevamo insieme, in silenzio, sorseggiando il caffè, scrutandoci come due pugili un po’ suonati per il sonno che ancora non ti eri scrollata di dosso e che io non avevo ancora assaporato. Un po’ ci guardavamo, un po’ lanciavamo occhiate alla finestra, il cielo ancora scuro, le persiane del palazzo di fronte che cominciavano a venire aperte, una dopo l’altra, a singhiozzo.
Vado a riposarmi un attimo, mamma. Sì, sì, vai che quando ti svegli sto già lavorando da tre ore. Non hai lezione all’università oggi? Sì, nel pomeriggio. Facevi un cenno con il capo. Quelle conversazioni mattutine erano i battiti del metronomo della nostra vita: regolari, sicure.
Adesso che non ci sei più e che passo davvero molta parte della mia via tra un albergo e l’altro, il silenzio che accompagna le mie colazioni al mattino è così opprimente che le faccio durare il tempo di un caffè veloce al banco, e via da un cliente.
Il metronomo si è fermato il giorno che il tuo cuore ha cessato di battere e il mondo intero è diventato un albergo.
© Barbara Garlaschelli, 2015
la prossima volta che mi chiedono perché ti amo così tanto, linko questo racconto
Viv… 🙂