Sono nato fortunato, nonostante fosse venerdì 13. Mia madre ha sempre detto che non credeva alla superstizione, ma le mie tutine avevano un piccolo cornetto rosso ricamato in un angolo; perché fosse di buon auspicio mi ha messo un nome importante, ma io non ho mai avuto bisogno di questi mezzucci per piacere alla gente.
Fin da piccolo ero socievole e sorridente: adoravo stare in mezzo alla folla, il rumore era la mia ninna nanna; mi nutrivo delle chiacchiere delle donne che venivano nella nostra bottega a comprare il pane; mi compiacevo delle grida dei bambini che giocavano a palla lì fuori; ridevo di un sorriso sdentato quando mia madre mi portava con sé alla messa domenicale, stretto al seno e seminascosto dal suo scialle di lana azzurro. Sembravamo la madonna e il bambinello, anche se ero il figlio della colpa e tutti ci additavano con disapprovazione. Un errore di gioventù, dicevano parlando sottovoce di mia madre: ma lei mi ha giurato che non esiste errore migliore di me.
Poi sono cresciuto, sempre in mezzo alla gente, figlio di tutti in quel quartiere sporco e rumoroso in cui mancava ogni cosa: acqua potabile, fogne, corrente elettrica; mi sono irrobustito a suon di zuffe in cui riuscivo sempre ad avere la meglio, forse perché ero agile, veloce e imprevedibile.
Ero sempre più popolare e il mio successo cresceva in modo smisurato: tutto ciò che toccavo si trasformava, tutto diventava mio. Sono uscito dal quartiere, dalla città, dal mio Paese: non mi bastavano. Volevo il mondo. E l’ho conquistato. Non è stato difficile: le persone si fidano, ti credono, ti abbracciano, e ti sottovalutano. Tutti, nessuno escluso. Oggi sono il più famoso, il temuto, il più odiato.
Il mio nome è King.
Sono il Re: il mio sigillo è la Corona.
©Maddalena Filippi, 2020
©Foto di copertina di Leonardo Cassi