Lei si alza. Va in bagno.
«Ci metto un minuto», dice. Ha lo sguardo basso, sfugge come acqua che si ritrae. Una bambina ferita che rifluisce in se stessa, un’onda che ha osato ingrossarsi una volta e ora invece vorrebbe solo sparire.
Lui la guarda appena mentre si volta e si allontana, poi i suoi occhi sfuggono via da quella che è l’immagine delle sue colpe. Rigira il tovagliolo tra le dita, lo arrotola, lo strizza, poi lo rilascia e ricomincia. Quando lei è sparita dietro a un angolo, e non sente più i suoi passi nel ristorante vuoto, smette di tormentare il tovagliolo come se volesse punire una parte di lei, o di sé. Lo depone sul tavolo, lo liscia con il palmo delle mani. Grandi, incaute, impacciate. Incapaci di tenere con delicatezza ciò che, per sua natura, va trattato con cura.
Che sia finita, lo sanno entrambi. Da parecchio di quel tempo che hanno scelto di passare assieme. Poi però bisogna dirselo, che è finita. Non basta lasciare degli indizi, e sperare che l’altro li raccolga per arrivare alla soluzione. E dirselo non è come sentirlo dentro: è come esporre la propria nudità alla luce del sole, giocare a carte scoperte senza essere ubriachi. Occorre rinunciare ai trucchi, gettare via la maschera. Accettare quello che il cielo ti rovescerà addosso senza scappare sotto una tettoia.
La verità delle parole pronunciate ti arriva in faccia come un pugno, mentre la verità immaginata, intuita, congetturata è un disagio invisibile, un difetto che rimane nella penombra, che puoi lasciar lì senza bisogno di accendere la luce e avvicinarti per vedere meglio i contorni. E poi le bugie cosa sono, pensa lui: a volte un bastone che ti sorregge, lo stucco che ripara una crepa, oppure una buona mano di pittura che rende tutto più fresco, più nuovo, persino più attraente.
Lei torna, affonda sulla sedia come un’onda muta. La verità ce l’ha già negli occhi un po’ umidi, perché di acqua e illusioni è fatta. A lui vengono delle parole, non sa se sono quelle giuste. Sa solo che dopo c’è una distanza tra loro che aumenta, e a un certo punto si stabilizza. Non vanno alla deriva, non seguono direzioni opposte. Si fermano come due pietre che affondano là dove si trovano.
Non c’è nessuna esplosione. Il loro mondo finisce in un sospiro.
©Ygor Varieschi, 2019
*L’ultima frase rimanda alla parte conclusiva di “The Hollow Man”, di T.S.Eliot.
This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a bang but a whimper.
Così il mondo finisce
Così il mondo finisce
Così il mondo finisce
Non con uno schianto ma con un lamento.
Racconto letto da Ygor Varieschi