Allora, niente fame?
Non ne ho voglia, scusa.
E scusa di che? Non c’è bisogno che mi spieghi: assassini, ladri, prostitute e adesso perfino profeti. So per esperienza che vi comportate tutti nello stesso modo la notte prima dell’esecuzione.
Che vuoi dire?
Avete una paura fottutissima.
Io non ho paura.
Tu ce l’hai, come tutti gli altri. Non hai mangiato, né bevuto. Te ne stai da ore, zitto zitto, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Sto pensando.
Ma non ti senti lo stomaco vuoto?
Appunto.
Allora – se non ti dispiace – me lo bevo io il tuo vino.
Fa’ pure.
E a cos’è che pensi?
Quando sei entrato cercavo d’immaginare come mi apparirà il colore del cielo, in punto di morte.
Tutto qui?
Nient’altro. Perché?
Beh, non credo che Pilato t’abbia tenuto tanto in giudizio per sentire minchiate del genere.
E se ti dicessi che con Pilato non abbiamo parlato d’altro che di minchiate del genere?
Non ci crederei. Cerca di capirmi: i condannati come che te, quelli che vengono isolati dagli altri la notte prima del supplizio devono averne combinate delle belle. Io non me ne intendo di politica ma tu.
Neanche io me ne intendo di politica. Te lo ripeto: con Pilato abbiamo discusso del più e del meno.
Anche di come appare il colore del cielo a un crocifisso. Lui sosteneva che un moribondo percepisce tutto, almeno per un istante, in maniera molto più chiara e definitiva. Così, per fare un esempio, il bianco delle nuvole sarà ancora più bianco del solito; oppure l’azzurro del cielo sarà mille volte più acceso del normale, dentro gli occhi di colui che muore. E così via.
Cazzate. Io avevo quindici anni quando ho combattuto la prima volta. In battaglia i colori del mondo non esistono. Sono stato ferito a morte tre volte. Guarda: questa è la cicatrice per un colpo d’ascia ricevuto da un sannita. E queste due: una freccia e la punta di un giavellotto che ha attraversato la corazza e s’è fermata a un dito dal cuore. Il respiro ti si accorcia, quando stai per morire, e l’unico colore che vedi è il nero della bava che ti esce dalla bocca.
Avrai ucciso molti uomini.
Ne ho contati venti di nemici uccisi. Ma potrei averne fatto fuori qualcuno in più senza accorgermene. Sai com’è, in battaglia è un casino. E tu?
Io, cosa?
Avrai ucciso qualcuno anche tu.
No tutt’altro. Ne ho resuscitato uno. Ho ridato la vita a uno che era morto da alcuni giorni.
È per questo che sei qui dentro, vero?
Penso di sì.
E di cos’altro avete discusso tu e Pilato?
Ma perché t’interessa tanto quello che ci siamo detti con Pilato?
Non capisco. Non è diverso da me o da te. Anzi. Ti dirò che m’aspettavo d’incontrare una personalità più.
Sappi che qui non si muove foglia senza che lo voglia lui. Non è un uomo di guerra, questo sì. E non è neanche tanto cattivo. Per la posizione che occupa, dico. Ma sa farsi rispettare.
Qual è il tuo nome, romano?
Io sono Evandro di Callisto e Antonia.
Evandro. Dovrebbe essere un nome greco. Sbaglio?
Non sbagli. Evandro è un figlio di Ermes. Mio padre aveva un’osteria a Roma frequentata più che altro da greci.
Com’è che non hai fatto l’oste anche tu?
Ho cominciato a combattere giovanissimo. L’esercito romano. Mi sono abituato a viaggiare. Sai, una galera dopo l’altra. La mia vita se n’è andata via così. Ci crederesti che non è molto quello che potrei raccontarti? Dopo tutti questi anni, è come se fossi vuoto e pieno insieme.
Ascolta, anch’io ho lasciato presto la casa di mio padre per viaggiare. Ho combattuto guerre diverse dalle tue.
Che faceva tuo padre?
Lavorava il legno. Sedie, tavoli. Ho fatto a lungo l’apprendista accanto a lui. Un periodo felice.
Dimmi dei tuoi amici. Ne avrai avuti.
Vedi forse qualcuno vicino a me?
Beh, sai, questo è rischio a cui si va incontro quando si gira troppo. Resti solo.
Stamane, con Pilato, abbiamo parlato anche di questo.
Dell’amicizia?
No, del suo contrario. La solitudine. Lui diceva che non c’è uomo al mondo che possa vantarsi d’averla sconfitta.
Tu non la pensi così?
No, non la penso così.
E l’hai detto questo a Pilato?
No, Pilato non è un uomo a cui piaccia tanto ascoltare. E poi, s’era fissato con quella storia della resurrezione. Voleva che gli spiegassi come avevo fatto. Se c’era il trucco.
E tu che gli hai raccontato? Com’è che hai fatto?
Niente. Mi sono avvicinato al morto – un mio vecchio conoscente, un certo Lazzaro – e ho urlato: Lazzaro, alzati e cammina.
Alzati e cammina. Non è che sia tanto facile crederti.
Anche Pilato era del tuo stesso avviso. Per questo ho preferito cambiare argomento. Pare che gli piaccia soprattutto dormire. Anche di giorno, capisci?
Certo, continua.
Allora, ho cercato di fargli capire che l’uomo non ha molti sistemi a disposizione per allungare la propria vita, ma che uno di questi è senz’altro quello di trascorrere il minor tempo possibile a letto.
Non ti seguo.
Eppure, è semplicissimo. Se riuscissimo a fare del tutto a meno del sonno, se riuscissimo a non dormire per niente, in teoria, se ciò fosse possibile, avremmo quasi una doppia vita da goderci. Pensa, il doppio del tempo.
Ma sei proprio un giudeo, tu?
Sono nato a sud di Gerusalemme.
E ti chiamano il Cristo, non è così?
Mi chiamano anche il Nazareno, oppure maestro. Ma il mio nome è Gesù. E sono figlio di Giuseppe e Maria.
Dalla faccia si direbbe che vieni dal nord, dalla Galilea.
Ho vissuto a lungo a Nazareth. Ma la verità è che mi sono abituato a rovesciare sempre il mio destino come il vento del deserto fa con quei grossi cespugli privi di radici: continuamente.
Parli in maniera strana, tu. Scusa se te lo dico, ma molti altri mi hanno detto di avere avuto la stessa impressione. E anche Pilato.
Pilato, cosa?
Si dice che lui non voleva condannarti e che è stata la tua gente a imporgli questa scelta. E poi il fatto dell’isolamento.
E tu, Evandro, mi trovi diverso dagli altri condannati?
Non lo so. Certo, non hai nemmeno le catene ai piedi. Significa che lui – Pilato, dico – ha voluto così. È strano.
Cos’è strano?
So che t’hanno pestato, prima di rinchiuderti.
E allora?
Quelli non scherzano. Sono della centuria, mi segui? Ecco, tu sembri fresco come una rosa.
Ho una forte costituzione, tutto qui. Anche mio padre era come me. Devo averne preso da lui.
Ma nessuno è riuscito a spiegarmi che cosa hai fatto, cazzo.
Dicono che Pilato temesse il tuo sguardo. Aveva paura di te: è possibile?
Non è di me che aveva paura, ma di se stesso. In quanto a me, se lo vuoi sapere, sono colpevole. Ho sprecato le mie energie e mi sono schierato contro tutto e contro tutti.
Sei stato egoista, dunque?
In un certo senso. Non ho sempre usato la mia parola come una carezza.
Ma tu scherzi. Non si può essere condannati a morte per una cosa del genere.
Questo non ha molta importanza.
Avresti dovuto difenderti meglio con Pilato.
Ma perché ti sta tanto a cuore la mia condanna?
Niente, scusa. Mi sono lasciato un po’ prendere. E ancora devo fare il giro di tutte le celle. A proposito, domani ne crocifiggono altri due con te.
Sono assassini?
Non mi pare. Forse, hanno rubato. Comunque, scusa, ma adesso s’è fatto tardi, devo andare.
Non c’è bisogno che tu mi dia spiegazioni.
Se mi sbrigo, però, ripasso.
A più tardi.
E comunque, Gesù, tu ce l’hai, è vero, quella gran paura?
Ho una paura fottutissima.
©Davide Marchetta

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