AGNOLINI
Non mangiamo più la carne.
Qualche volta carne in scatola, ma per noi le proteine sono fagioli, lenticchie e ceci.
Anche con le uova non andiamo d’accordo. Tutto ciò che si deve cuocere crea problemi.
I primi tempi, quando ancora non avevano tolto la luce, Giulio aveva una piastra elettrica, una cosa che aveva recuperato dall’ufficio all’ultimo piano. Probabile fosse un gadget regalato alla segretaria del Presidente. Ma la vedo, poverina, che doveva scaldarsi il pranzo perché il suo ruolo non prevedeva pause.
Ora ne avrà, di pause, la ditta ha chiuso ormai cinque anni fa. Ora anche la piastra non serve più, hanno staccato la corrente.
Si dice che il fallimento sia difficile da gestire, l’immobile era dei soci, uno ora è introvabile. Intanto, noi abbiamo trovato il modo di entrare e farci i nostri spazi. Giulio la notte si scalda nel sacco a pelo col cane che gli dorme addosso. Io non ho mai freddo, dormo nell’ex locale caldaia, non ci sono spifferi, non va mai sotto i dodici gradi e con tutti i miei maglioni e i cappelli di lana me la cavo. Ogni tanto Giulio viene a trovarmi e restiamo abbracciati un po’, dopo, ma lo sento che vuol tornare dal suo cane. Cane, lo chiama, benché io preferirei Pulcioso. Magari non le ha le pulci, ma con la sporcizia accumulata si è fatto un bel po’ di dread.
Io non sono sporca. Ho scoperto che i bagni dell’Esselunga sono sempre puliti. E poi c’è uno, uno che fa le pulizie. Mi guarda sempre con un sorriso. Mi guarda e mi fa segno di entrare. Una volta mi ha anche detto «Tranquilla, è tutto pulito».
Insomma, non viviamo mica male, noi. Di giorno me ne vado in giro, ho la mia carta (negli uffici abbandonati trovo tanta carta e biro e matite) e disegno, piccoli grafici, cose strane che pare piacciano. Il banchetto dei fiori davanti all’Ospedale apprezza i miei bigliettini d’auguri. Sono brava con le frasi di circostanza e i bigliettini fatti a mano sono molto richiesti.
Così rimedio qualche soldo.
Il fatto è che ho voglia di brodo. Quel buon brodo caldo che faceva la zia Luisa. Dentro ci trovavi anche pezzettini di carne e di patate sbriciolate, e sapeva di carne. Mai più provata una delizia simile. La zia ci tuffata gli anvoi, (gli agnolini, o i ravioli, ognuno li chiama a modo suo), e io mi scaldavo tutta. Ecco, ho voglia di quella roba lì. Ho voglia di sedermi a tavola, della tovaglia bianca col tovagliolo di stoffa. E del brodo che scende e adagio adagio ti scalda tutta e senti che va bene così, che anche se i tuoi non ci sono, se mamma l’hanno chiusa in quel posto lustro dove c’è un angelo che guarda dall’alto, che anche se la gente per strada ti guarda storto e i vecchi amici non ti riconoscono, va bene così. La voce della zia Luisa è lì ad accarezzarti e tu ti senti dentro a un film, ma di quelli d’amore, niente parolacce e solo buone cose, quelle che ti fanno stare bene e sognare e riempire il cuore che lo senti grande grande.
Sono giorni che da Emilio, dell’edicola, quello dove lascio ogni tanto i miei biglietti e lui mi fa leggere i giornali di ieri e le riviste, si ferma una signora. Non ci vede e non ci sente molto bene, ma parla volentieri e racconta: non riesce più a far da mangiare come una volta ma avrebbe tanta voglia dei ravioli in brodo come li faceva per il suo Gianni. Emilio l’ascolta, sempre, e un giorno le dice: «Vai dalla Lia, in fondo alla strada, di fronte ai Carabinieri. È una vecchia osteria e al giovedì fanno il lesso e i ravioli in brodo. Ma mica i ravioli comprati, li fa lei, persino io e mia moglie ogni tanto ci andiamo, c’è il profumo di casa della mia mamma».
Da allora io la notte ho un po’ più freddo, Giulio non mi interessa, penso solo alla tovaglia e al piatto di ravioli che vorrei mangiare. Ho ascoltato Emilio ma mica gli ho chiesto quanti soldi vuole la Lia per i suoi ravioli. Però ho controllato: ho in tasca dodici euro e sessanta centesimi.
Sono passata dalla Lia. Su una lavagna c’è scritto: «Domani ravioli in brodo, quelli della Lia. Ravioli più verdure cotte più vino più caffè a dodici euro».
Io domani ci vado. Domani faccio la signora. Stanotte la Lia me la voglio sognare e il Giulio non lo voglio vedere. Deve lasciarmi sognare in santa pace, che i miei disegni per una volta serviranno a qualcosa, no?
©Antonella Zanca, 2018