ROSSO POMODORO
La sala della pizzeria era ricca: di profumo di pomodoro e origano, del vociare allegro di famiglie e bambini, della musica di sottofondo e di tanto bianco e rosso, il logo del locale, con disegni di pomodoro ovunque.
I tavolini colore-non colore, tra il beige e il grigio, uniformi, identici, con sedie scomode e in tinta, erano quasi tutti pieni.
All’angolo vicino ai bagni, sedevano un uomo sulla quarantina e una ragazzina dai capelli castani. Poteva avere undici, dodici anni, indossava un maglione con disegni norvegesi, e, seduta ben attaccata alla sedia, non riusciva ad arrivare coi piedi al pavimento.
Le spalle abbandonate e le mani in grembo, restava lì in silenzio, sguardo fisso nel vuoto e faccia inespressiva, nessun accenno a un sorriso, ma neppure un vago interesse verso l’uomo che aspettava con lei l’arrivo delle pizze.
Lui, costantemente legato al suo smartphone, picchiettava sullo schermo e non abbandonava lo sguardo da quello che la rete gli stava comunicando.
Intorno a loro, ancora risate; vicino e dentro di loro, il silenzio, intervallato dal cicalino costante dell’arrivo dei messaggi da chissà dove, da chissà chi.
«Papà, io non ci volevo venire, qui, ma come faccio a dirtelo? Tutte le domeniche, la sera, quando mamma dice che devo stare con te, mi porti a cena qui. Non mi piace, questo posto. Non mi piace la pizza al trancio, non mi piace la mozzarella che cola e che nasconde quella traccia di acciuga puzzolente che odio con tutto il mio stomaco. Ma quando sono con te, faccio la brava. L’ho promesso alla mamma. Noi stiamo bene, sai, senza di te? Non mi importa che tu non venga mai a casa a trovarci e neppure che non mi venga a prendere a scuola: venire a casa con la mamma di Alessia è divertente da morire, sai, lei mette la musica e noi cantiamo a squarciagola anche se non conosciamo le canzoni, e ridiamo da matti anche solo a fare LALALA.
Con te non rido mai, papà. Io vorrei, ridere, ma tu non mi ascolti. Hai sempre la faccia triste, quando mi vedi.
Solo quando ti suona il telefono sei vivace. Anche la mamma è sempre allegra quando le suona il telefono.
Anch’io vorrei un telefono ma la mamma dice che sono ancora piccola.
Io vorrei ridere, con te. Ho provato a farti vedere quel libro, quello con gli elefanti, ma tu hai scosso la testa e mi hai detto che devo crescere, che quando sarò più grande ne faremo, di cose, insieme.
Papà, io vorrei farle adesso, le cose, insieme. Perché mangiare questa pizza schifosa non mi piace, non mi piace per niente.
Io voglio crescere, voglio crescere farti vedere che insieme a me puoi ridere, vedrai come ti farò ridere quando mi comprerete un telefono e io ti telefonerò e ti racconterò le mie storie.
Dai, papà, me lo compri, il telefono?»
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