PASQUA
Ragazzi in spiaggia, semi vestiti, il primo sole caldo di primavera riscalda gli angoli di pelle nuda. Un grande plaid ne raccoglie quattro, scomposti, ma a loro agio. Si passano libri e dispense, agitano le mani, si interrompono a vicenda; piccoli post-it gialli vanno di mano in mano fino a trovare la giusta collocazione.
Ridono, anche, ma nervosamente; arrivano a leggere pagine e pagine, ad alta voce, una parte per uno, una domanda ogni tanto a interrompere il flusso.
Intorno bambini che urlano, cani che corrono e un mare che vuole partecipare al rumore, dando il meglio di sé, traducendo il tutto in musica.
Una ragazza seduta a gambe incrociate sul plaid scozzese non parla, non domanda, non si agita; segue soltanto le parole degli altri sulla dispensa che ha sulle gambe, la sfoglia, torna indietro, appoggia il dito alla riga, per non perdere il filo. Ha lunghi capelli neri, ricci, che arrivano alle gambe, mentre si china sui fogli, quasi avesse paura di perdere dei pezzi.
“Questa volta devo farcela, devo farcela davvero, non posso permettermi di fallire. No, non mi basta un ventisette, quello l’avevo già preso il mese scorso. Ora deve essere trenta e se fosse con la lode sarebbe meglio, così gli chiudo la bocca al Russo, una volta per tutte. Lui non ci crede, in me, non crede che io possa arrivare lontano, soprattutto non ha mai voluto che mi iscrivessi ad agraria che secondo lui non è roba da donne. Solo dirmi così mi ha fatto scegliere. Dura è dura, ma che l’uomo di mia mamma decidesse per me non mi piaceva proprio.
Anche oggi, quando ho detto che venivo al mare a studiare: sguardo ironico, frasi di scherno e un’occhiata alla mamma, come a dire che tanto io, al mare, non avrei studiato di sicuro. Manco se ci vedesse, ci crederebbe. Ma io glielo sbatterò in faccia, il mio trenta, al Russo, ne sono certa.”
© Antonella Zanca, 2016
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.