Il tempo giusto

Si accarezzava la pancia senza pensarci, un gesto spontaneo, involontario, del quale era quasi inconsapevole. A volte prendeva coscienza della curva innaturale per il suo corpo esile, e sorrideva,
poi dimenticava.
I peperoni li aveva piantati lui a giugno, non sapeva quando fare questo lavoro e sulla confezione dei semi non c’erano le istruzioni, anzi, magari c’erano ma lui non le sapeva leggere. Non era scontato
che qualche piantina spuntasse, eppure a novembre c’erano ben due peperoni. Inizialmente avevano pensato che non avrebbero ottenuto nulla da quel germoglio spuntato a luglio, dentro un vaso
sul balcone, esposto a caso, dove sembrava che il sole fosse abbastanza e la luce e la corrente d’aria e tutto a occhio offriva garanzie perfette. Come quando ci si mette insieme, l’altro ispira affidabilità, simpatia, solidità, e rispetto, e posizioni politiche e morali, tutto a posto. Poi chissà se le cose si incastreranno, l’unica cosa certa è che sulla carta sembra un vaso ben posizionato.
«Come devono diventare secondo te? Sono verdi? Restano piccoli o dobbiamo aspettare per raccoglierli?» le chiese lui mentre osservavano insieme le piante, dall’interno della stanza calda. «Chi lo
sa, non ci capisco nulla, però aspettiamo, diamo loro un po’ di tempo, magari ci stupiranno», rispose lei, incuriosita da quelle creature che si erano aggrappate alla vita, nonostante i due umani non avessero idea di cosa stessero facendo.
A metà novembre i due piccoli peperoni erano sempre meno verdi e più rossastri. Lui ne era fiero «hai visto? Ho fatto bene a spostarli un po’, adesso i primi raggi del mattino li trovano subito». Lei
sospettava che le dimensioni fossero ormai definitive e solo il colore sarebbe cambiato, comunque, al momento giusto, avrebbero saputo cosa fare.
Era fine novembre, ogni mattina si alzava un gran nebbione, che però verso le nove si diradava e spuntava un bel sole tiepido. Ai peperoni piaceva.
La pancia di lei cresceva, era la cupola di un edificio sacro, all’interno c’era il Messia.
«Tra poco hai il controllo», le disse lui una mattina con un tono pensieroso, quasi distratto. Lo so, rispose lei accarezzandosi la pancia, stavolta consapevolmente e con un sorriso sognante, «sarà mercoledì, vero? Che giorno è oggi? Non mi ricordo mai».
«È lunedì. Hai visto i peperoni stamattina? Sono rossi, belli pienotti. Secondo te…?»
«No. Diamo loro altro tempo», quando sarà il momento ce ne accorgeremo, pensava.
Il controllo andò come si aspettavano, ogni cellula cresceva come da programma, centimetri, peso, effetti collaterali sopportabili, il sorriso di lei, l’assenza nello sguardo di lui.
Diamo tempo alla piantina, la vita ha bisogno del suo tempo, pensava lei guardando il suo balcone, dall’interno della sua casa calda.
Ogni mattina lui si alzava presto e apriva le finestre affinché lei, scendendo dal letto, trovasse la casa illuminata. Lei amava la luce.
All’inizio di dicembre il colore dei peperoni non era ancora definito, una traccia di verde in sottofondo e un rosso che stentava a sprigionarsi, come se le piantine fossero reticenti a lasciar andare quei figli, li proteggevano ancora un po’. Fecero delle ricerche in rete e tutti i siti dicevano che per le varie qualità di peperone, il termine massimo per la raccolta è ottobre. Eppure è dicembre, le diceva, che dobbiamo fare? Aspettare, diceva lei, senza farsene un problema.
«Domani c’è l’ecografia, speriamo non si alzi il vento mentre non siamo a casa, non voglio che ci butti giù i peperoni», diceva lui oppresso dalla preoccupazione e vagamente distante.
Staranno lì, attaccati alla pianta finché non saranno pronti, pensava lei sorridendo e accarezzandosi la pancia. Ormai lo faceva continuamente.
L’ecografia non rivelò nulla di nuovo, lei sorrideva, lui era distante.
Il ricovero per il parto era stato fissato, sarebbe stato indotto e ogni dettaglio era stato concordato con la massima soddisfazione di lei.
Lui non espresse né preoccupazioni né preferenze, deciso solo ad assecondare ogni desiderio di lei e a sostenere ogni sua decisione.
Restò quindi in silenzio e pensieroso.
Una mattina lei scese dal letto e lo trovò in piedi, immobile, davanti alla finestra. Immaginò che stesse valutando lo stato di salute delle sue piantine, del resto era metà dicembre e quei peperoni continuavano a sembrare sospesi nel tempo, con un colore non ancora definito, trattenuti da qualcosa.
«Lo capiremo, al momento giusto», ma lui si scosse come se non capisse quelle parole, era solo imbambolato, non stava pensando a nulla.
Lei avrebbe voluto aiutarlo, confortarlo, ma capiva che ormai vivevano in due mondi diversi e si guardavano attraverso un vetro, le parole arrivavano attutite e distorte, le mani non si toccavano più.
Lei aveva avuto il tempo per capire cosa le stesse succedendo, come il suo organismo cercasse di adattarsi al cambiamento, aveva preso le sue decisioni dopo aver capito cosa sarebbe successo. Il momento dei dubbi si era dissolto rapidamente, quello dello sgomento era durato di più. Ora si trovava nel tempo del mistero e della riconoscenza per ogni folle meraviglia vissuta nella vita, felice e appagata perché quel figlio lo desiderava profondamente. Non perché la facesse sentire realizzata o completa, non si era mai sentita frammentata in vita sua, no, lei lo desiderava perché, dal primo istante, si era sentita innamorata di quell’individuo che cresceva dentro di sé. Era consapevole di essere diventata un mistero per lui, del resto, quel vetro fra loro stava diventando sempre più opaco e i due mondi si stavano respingendo.
Venne il giorno del parto, tutto andò bene. Lui osservava suo figlio in braccio a una mamma estasiata e provava una gioia soffocata, così interna da non riuscire a raggiungerla, occhi scuri e labbra neutre.
Lei si sentiva bene, aveva fatto esattamente ciò che voleva e aveva tutto ciò che la rendeva felice. Si sentiva grata, la sua attenzione era rivolta soltanto ai doni che il cielo le aveva fatto.
Dicembre era passato, lui aveva preso la decisione di raccogliere i suoi peperoni senza seguire un parametro particolare, lo fece d’istinto.
«È tutto qua?» chiese alla sua compagna, porgendole i frutti delle sue piantine.
È tanto, rispose lei.
A febbraio riprese la chemio, marzo se la portò via.
©Ale Ortica

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