Brady e l’Uhrpresidente
Brady è appena arrivata a casa. E’ del tutto inconsueto che assapori del bourbon prima ancora di cena. Inconsueto perché di solito ha solo il limoncello fabbricato da suo padre, con procedure oscure e probabilmente con l’aggiunta del sangue dei vicini. E inconsueto perché il bourbon costa decisamente troppo per Brady, ma questo è stato donato da un meraviglioso amico americano, che abita proprio nella città in cui fanno il bourbon migliore d’America, e probabilmente questo fa di lui un simpatico alcolista.
Comunque, Brady sta bevendo un bourbon e non ha ancora cenato. E’ venerdì sera. E’ appena tornata dal lavoro. E sta cercando di comprendere dove mai siano finite le migliori menti della sua generazione: anche se non è quella di Ginsberg, qualche intellettuale che non sia ritardato deve averlo prodotto.
Brady è appena stata a una riunione. Per la precisione, è appena tornata da un incontro esclusivissimo del Comitato d’Eccellenza. Non ne fa parte, naturalmente, ma l’hanno mandata in sostituzione di un collega che ha un problema alla prostata, uno al piede destro e un terzo, non diagnosticato, al cervello. Il Comitato d’Eccellenza, formalmente, non fa per lei, che è un servo della gleba accademico: cosa ci starebbe a fare nell’organismo che raccoglie le menti scientificamente più avanzate dell’ateneo tutto per radunarne la progettualità? Progettualità che peraltro giace agonizzane da alcuni decenni e ora rischia di rimettersi in vertiginoso movimento a causa della raggiunta, superata e doppiata età pensionabile del patriarca in declino, l’Uhrpresidente di ogni commissione e comitato, il capo, il ras, il padrino e l’essere supremo che nessuno ha mai osato contraddire.
Brady sa che la riunione è una formalità, e come al solito lei nel fine settimana non fa una beatissima cippa. Perciò perché non andare? E potrebbe rifiutare, del resto? E’ prevista una riunione senza scosse: l’Uhrpresidente, come al solito, ha fatto correre voce che vuole dimettersi prima del tramonto anagrafico. Non ne ha alcuna vera intenzione: si minaccia la dimissione per farsi convincere a restare, implorati, lodati, e via dicendo.
E tuttavia, la biglia impazzita del fato ha preso una direzione imprevedibile. E la pomposa dichiarazione dimissionaria cade nel più assoluto, imbarazzante silenzio. Il copione non è stato scritto, questa volta, e nessuno sa comeportarsi.
Il segretario verbalizzante, anni anagrafici 52 e psicologici 88, ha sentito tutto, ma si sta concentrando sul verbale più fiorito della sua vita per evitare di prendere una posizione, esercizio nel quale si cimenta da quando è iniziata la sua carriera. La concentrazione coatta è diventata la sua abilità più sofisticata: potrebbe vincere un Oscar, per quello. La filologa, ricercatrice da quando aveva sei anni, ma poi mai emancipata al grado successivo della scala evolutiva accademica, approfitta del silenzio compatto per infilarci la consueta richiesta di un avanzamento di carriera. Il bruto filosofo, padre tardivo con partner fotomodella tailandese, parla di suo figlio che a tre anni mostra già spiccati talenti, forse per il massaggio thailandese. E un attempato travestito che risponde al nom de plume di Crimilde intraprende, a puro scopo diversivo, l’illustrazione incongrua di un convegno sui linguaggi della traduzione. Il professore decano, un piccoletto con la lisca e una tendenza a evitare ogni forma di pulizia, anche la più elementare, apre gli occhietti dietro l’occhiale nuovo ma mal prescritto, che pertanto aggiunge la cecità alla sua già conclamata sordità, e agguanta il rampone che il travestito Cri gli lancia e inneggia alle future glorie della teoria della traduzione, mentre il panico comincia a diffondersi tra la platea ammutolita. Il francesista parla al telefono, il geografo tira fuori la bussola e al prof di giapponese scappa la pipì, ma piuttosto che uscire durante una riunione è pronto farla gassosa e disperderla nell’aria.
Insomma, nessuno che prenda in mano la situazione. Con polso straordinario, eccolo lì, lo Spartaco degli accademici, il padrone di tutti gli schiavi, il sindacalista RSUYZ che alzandosi in tutta la sua ridicola possanza e sventolando il foulard arancio libero, dice: “E’ ora che si manifesti un cambiamento, signori. Noi giovani … “
E’ a questo punto che l’assemblea si sveglia, considera la componente rivoluzionaria della riunione, ne nota l’ormai incipiente calvizie, le rughe e le scarpe lise. Si prende paura e, rivolgendosi come un sol uomo all’Uhrpresidente, non solo lo convince a non dimettersi, ma lo proclama presidente onorario.
Riunione chiusa.
Brady, che non ha avuto neanche il tempo di alzare la mano prima che la conferma dell’Uhrpresidente venisse dichiarata come votata all’unanimità, ha messo il cappotto ed è tornata a csa. E ora beve bourbon, con l’intenzione di perdere i sensi e sognare un mondo normale. Ci riuscirà?
©Nicoletta Vallorani