Mourning Brady
Brady ha un problema col lutto. Da sempre. Non sa come misurarsi con l’assenza improvvisa di chi ama perdutamente, e che a un certo punto smette di essere una presenza attiva e corporea nella sua vita. Invecchiando, la frequenza dei lutti è aumentata, eppure ancora, Brady prova una stupefazione rabbiosa verso le circostanze che cancellano esistenze per lei importanti.
Brady è triste.
Ciccio se n’è andato, zampettando in silenzio dentro la zona d’ombra che ha corteggiato per un anno. Ciccio trova che arrendersi sia una reazione da mezze seghe, perciò, anche in questa circostanza, ha pensato bene di resistere, furioso e ingovernabile, svalvolando perle di saggezze in un contesto di cazzoni abusivi. Poi ha dovuto mollare gli ormeggi e andare a fondare una casa editrice nell’al di là. Così va il mondo, la qual cosa per Brady al momento non è una consolazione.
Ma cosa lo è in questi casi?
Si colonizza il passato e si mettono in fila ricordi. Ricordi rivoltosi, nel caso di Ciccio.
Per esempio, la volta che Ciccio, allora editore, aveva accettato il primo romanzo di Brady, dichiarando che era buono, ma che c’era una lacuna, una mancanza una falla… e al manoscritto, in effetti, mancavano 20 pagine, perché Brady aveva dimenticato di fotocopiarle. Ovviamente altre 20 erano ripetute due volte.
La volta che Ciccio aveva letto il secondo romanzo di Brady, e le aveva detto: «Vai giù pesante, cocca, che a scriver pippe commerciali son buoni tutti. Tu puoi fare di meglio».
«Ok, Ciccio. Ma non chiamarmi cocca.»
«E tu non chiamarmi Ciccio.»
La volta che aveva letto il romanzo migliore di Brady e aveva detto: «Questo non te lo pubblica nessuno, cocca. Meno male che ci sono io».
«D’accordo. In questo caso, puoi chiamarmi Cocca. Però guarda che questo romanzo non vende niente. Però io non cambio una virgola.» Il romanzo aveva venduto 537 copie, il che non dimostra una beatissima cippa. Brady era stata contenta lo stesso
La volta che erano andati insieme al party molto intellettuale di un editore superimportante, dove avrebbero dovuto procurarsi contatti importanti. Era finita che avevano fatto insieme tutte le cose che NON si fanno quando si va a un party di un editore superimportante, compreso schizzare gazpacho sull’abitino bianco Armani di una scrittrice in carriera. L’abitino si era trasformato all’istante in una parure hawaiana e la scrittrice non l’aveva presa bene, ma Ciccio e Brady avevano avuto uno dei momenti di ilarità più indignitosi e alcolici della loro vita.
La volta che Ciccio aveva scritto un romanzo, ed era superbo. Solo il primo, di una serie.
La volta che Ciccio aveva letto l’ultimo romanzo di Brady. «Questo è bellissimo, cocca. Sei l’unica persona che conosco che riesce a scrivere romanzi ancora meno pubblicabili dei miei.» Ci aveva pensato un po’, e poi aveva aggiunto: «Tu però hai un vantaggio. Io posso pubblicare i tuoi romanzi, ma tu non puoi pubblicare i miei. Come la mettiamo, Cocca?»
«Levatelo dalla testa, Ciccio: è escluso che io fondi una casa editrice.»
La volta che avevano fatto a gara per vedere chi otteneva più rifiuti dagli editori mandando in giro la creatura più recente. Aveva vinto Brady, ma anche Ciccio se l’era cavata benissimo.
La volta che Brady era andata a sorpresa alla presentazione dell’ultimo libro di Ciccio, e per una volta era stata tra il pubblico a godersi la cosa. Brady si ricorda l’abbraccio di Ciccio alla fine della presentazione, e si rende conto che quella dev’essere stata l’ultima volta che lo ha visto.
Sta per mettersi a piangere quando una voce partorita forse dall’eccesso di Bourbon ingollato da Brady per affogare il dolore le dice: «Niente lagne, cocca. Tira fuori le palle».
«Ok, Ciccio. Ma non chiamarmi cocca.»
NOTA: questo è, indegnamente, per Luigi Bernardi.
©Nicoletta Vallorani