Brady Blues
Brady è di un umore strano. Non è una che si deprime, e tuttavia quella che prova somiglia moltissimo alla depressione. Postpartum, se ci fosse un partum. La verità è che Brady tende a pensare che i suoi tentativi di farsi significativa nel mondo siano sostanzialmente una sequenza di abortini più o meno deliberati.
Brady fa bilanci, ed è bene sapere che questa è una pratica più pericolosa del Jumping o del paracadutismo amatoriale: uno non sa mai dove cadrà, se la corda reggerà o se il paracadute si aprirà. Dato che Brady ha sperimentato in numerose occasioni lo spiaccicamento sul terreno, sa bene di cosa parla, e non desidera ripetere l’esperienza.
Oggi pensa che sia più sicuro rimanere spiaccicata, e che il mondo si fotta.
Però Brady è un animaletto ostinato, e mentre se ne sta spiaccicata, l’istinto del bilancio ha la meglio, e si dipana da solo, srotolandosi come uno scottex spinto da un cucciolo. Brady si arrende. Di questi tempi, arrendersi le viene facilissimo.
E fa bilanci.
Il bilancio # 1 riguarda il suo mestiere, gloriosamente desiderato e nel quale ha deposto una deontologia che negli anni si è fatta flessibile, ma che ha avuto come regola fondamentale quella di non fare cose che poi le avrebbero impedito di guardarsi allo specchio. Ora si guarda allo specchio e si vede un cesso a pedali, senza neanche le ruote sotto. Perciò si chiede se non sarebbe stato meglio fare qualche porcheria in più e vedersi rotondetta e ridente, con la soddisfazione di aver ottenuto con l’imbroglio quello che voleva. E’ una bella domanda, alla quale non esiste risposta. O se c’è, è nascosta bene, pensa Brady. Si riguarda allo specchio e pensa a quel che le ha detto una sua amica, che di estetica se ne intende: la prima regola è piacersi. Brady agguanta la trousse per il trucco, ne scuote via la polvere e si mette all’opera. Un tocco qua. Un altro là. Rossetto spalmato, rimmell incollato, una guancia più rossa dell’altra, uno zigomo apache e un altro norvegese. Non è mai stata brava nelle arti figurative. E in effetti, prima di sistemare i capelli, Brady sembra un Bacon live. Non arrendiamoci: Brady raddrizza le spalle e affronta i capelli. Dov’è la piastra? Eccola. Spina. Appunto: salta l’impianto elettrico. La piastra è rotta. Capelli à la coup de tornado: molto fashion.
Va bene. Lasciamo perdere questa scemenza di piacersi. Passiamo ad altro.
Bilancio # 2, e si tratta di arte. Brady, che pure ha una sua vena artistica, ha sempre negato di essere un’artista. Per conseguenza, nessuno la considera tale. E’ ontologicamente fondamentale, specie in un universo egoriferito come quello attuale, sentirsi artisti ed essere bravi nel marketing. Brady nel marketing è una sega. Ed è egoriferita come uno scaldabagno: e come quello si accende a comando e fornisce acqua calda, che non è una gran prova di artisticità. Intanto, un mondo di artisti sgambetta festosamente nei paraggi, chiedendole pareri o mostrandole i suoi successi. Brady si interroga: forse in un contesto in cui tutti sono artisti, è meglio essere persone normali? La questione va seriamente posta. Il problema è che Brady non si sente tanto normale. Specie adesso con la faccia Scaramacai e i capelli di un minipony che ha infilato le dita in una presa elettrica. Ah, già: l’impianto è saltato. Se non altro non si prende la scossa.
Bilancio # 3, che sono gli amici. Che Brady adora. Sono il sale della vita e l’unico motivo di gioia. Peccato che ora siano tutti disastrati. Più che una cerchia confortante, sembrano usciti da un romanzo di Stephen King. Passa. Tutto passa. Ma quando passa? L’ulteriore complicazione è che Brady va soggetta a una sindrome che potrebbe definirsi “la turba di Biancaneve”. Quando incontra le persone, pensa che siano tutti nanetti buoni, nonostante la storia – italiana soprattutto – ci abbia insegnato, come De Andrè, che i nani sono a volte sono un concentrato di fetenzia. E in effetti, degli innumerevoli nanetti amici collezionati da Brady, una percentuale considerevole ha messo i denti e lasciato il segno sul corpicino morbido di Brady.
Brady mette in fila le numerose fregature. Quando finisce le dita delle mani e dei piedi, decide di fermarsi. Per pudore, e perché le sembra impossibile superare il numero venti. Certo, ci sono le perle, e quelle le terrà strette. Ma certe volte le perle rimangono intrappolate nella loro ostrica. E farsi una lacrima in compagnia era bello da adolescenti: adesso ti fa solo venire fuori un furore da non dirsi. Inutile, perché tanto la vita è quel che è, e tanto vale accettarla.
Bilancio # 4, detto anche “chi mi ama mi segua”. Brady si guarda alle spalle. Si guarda davanti. Guarda anche da tutti e due i lati. E non vede nessuno. Persino il cane fa l’indifferente, appoggiato al frigo. Brady prova a spiaccicarsi meglio per terra, per vedere se il cane interviene. Quello considera con profonda saggezza l’utilità del suo intervento, ne valuta la fatica, e rimane dov’è. Cane opportunista. Stasera, a pane e acqua.
Così Brady decide. Per oggi rimane spiaccicata. E mentre si rotola colpevolmente in un vittimismo inutile e dannoso, pensa, come Rossella O’Hara, che domani è un altro giorno. Clarke Gable verrà e la salverà. E con ogni probabilità la farà morire dal ridere. Che alla fine è l’unica cosa che conti davvero nella vita: saper ridere, con o senza Clarke Gable.
© Nicoletta Vallorani