Il 18 novembre 1895 la commedia è terminata, ma Cechov non è soddisfatto come confida all’amico Suvorin: “La pièce l’ho finita. Non è venuta fuori bene. Del resto, non sono un grande drammaturgo, io. L’ho cominciata in forte e l’ho chiusa in pianissimo, il che è contro tutte le regole dell’arte drammatica. Quanto alla mia drammaturgia, a quel che pare è destino che io non sia drammaturgo. È una disdetta. Ma non mi perdo d’animo, giacché non smetto di scrivere racconti; in questo campo mi sento a casa mia, mentre quando scrivo per il teatro mi sento agitato, come se qualcuno mi mettesse alla porta”.
Proprio quell’agitazione lo ha tenuto per sei anni lontano dal teatro, e proprio in quei sei anni si è andato raffinando quella mistura unica di simbolismo e realismo che è lo stile narrativo cechoviano, e proprio questo stile narrativo unico influenzerà le successive opere teatrali dell’autore, la prima delle quali è appunto Il gabbiano, che inizia ad aprire le ali il 15 marzo 1896, quando Cechov scrive una “supplica” al “signor direttore dei teatri imperiali”. A luglio sembra che il Comitato abbia finalmente letto Il gabbiano, ma ha trovato dei punti oscuri e invita l’autore a cancellarli o a modificarli. Dopo alcune settimane, il severo Comitato di censura approverà le modifiche e in settembre il testo definitivo sarà finalmente pronto per essere rappresentato al Teatr Aleksandrinskij di San Pietroburgo: la prima è prevista per il 17 ottobre 1896. Ma, come vedremo, questa data rappresenterà un triste ricordo per Anton Pavlovic
Cechov arriva a Pietroburgo da Mosca mercoledì 9 ottobre. Va a casa di Suvorin con i manoscritti delle sue opere teatrali, compreso Il gabbiano, li consegna all’amico editore che le pubblicherà l’anno dopo.
Poi inizia una serie di visite che gli fanno perdere la prima lettura della pièce all’Aleksandrinskij (soltanto nove giorni prima del debutto!). L’attrice quarantaduenne Savina, che deve interpretare la parte della diciottenne Nina, abbandona disgustata la prima lettura. La sera, Anton Pavlovic non assiste alla prima prova in palcoscenico, ma va a vedere con Suvorin l’attrice Vera Kommissarevskaija. Il giorno dopo assiste alla seconda prova: la Savina recita controvoglia la parte di Nina e due giorni dopo si rifiuta decisamente di andare in scena. Mancano soltanto sei giorni al debutto. Il giorno dopo la parte di Nina viene assegnata a Vera Kommissarevskaija. La Savina interpreterà Masha. Si disfano i costumi già in preparazione e si ricomincia da capo. Il giorno dopo Cechov assiste a una prova con le scenografie montate e rimane deluso: il regista Karpov non ha fatto costruire nulla di nuovo per la pièce ma ha riciclato vecchi scenari usati per allestire farse borghesi.
Il 16 ottobre la prova generale in costume è un disastro: Vera Kommissarevskaija è assurdamente avvolta in un pezzo di stoffa bianco e l’esile Maria Chitau, la nuova interprete di Masha, sprofonda negli abiti enormi confezionati per la Savina, che nel frattempo aveva definitivamente abbandonato la compagnia. Finalmente arriva il 17 ottobre: la serata non può che essere delle peggiori: metà del pubblico va all’Aleksandrinskij per applaudire la famosa attrice comica Elizaveta Lintreeva, cui è dedicata la serata d’onore, ma la Lintreeva non recita ne Il gabbiano (avrebbe dovuto interpretare la parte di Polina Andreevna, ma vi ha rinunciato convinta da Cechov), bensì in una divertente farsa che andrà in scena due ore dopo. L’altra metà del pubblico è smaccatamente nemica della drammaturgia contemporanea, del resto raramente messa in scena dai teatri imperiali come l’Aleksandrinskij. Gli attori sono distratti, non ricordano la parte, qualcuno è addirittura ubriaco. Verso la fine del quarto atto Cechov trova rifugio nel camerino della Lintreeva e quando sente che lo spettacolo è un fiasco, s’infila il cappotto, alza il bavero per nascondere il viso, esce rapidamente dalla porta di servizio nel retropalco.
Anton Pavlovic cammina per ore, solo, nelle strade ghiacciate di San Pietroburgo. Verso l’alba, all’angolo di una strada, un ragazzo gli offre un giornale fresco di stampa: “Non so leggere!” – urla bruscamente. Il gabbiano rimane in cartellone all’Aleksandrinskij per cinque sere. E poco conta che dalla seconda replica in poi lo spettacolo riscuota un discreto apprezzamento del pubblico. Soltanto uno scrittore e regista, direttore del Conservatorio teatrale di Mosca, che ha incoraggiato Cechov a riscrivere per il teatro, sembra apprezzare quell’opera così innovativa, ma Cechov lo ritiene responsabile del suo nuovo insuccesso, ascoltate: “Si, il mio Gabbiano ha avuto a Pietroburgo, alla prima rappresentazione, un grandioso insuccesso. Il teatro spirava astio, l’aria era satura d’odio, ed io – per legge fisica – son volato via da Pietroburgo, come una bomba. Di tutto ciò siete colpevoli tu e Sumbatov, giacché siete stati voi ad incitarmi a scrivere per il teatro.” Il colpevole si chiama Vladimir Ivanovic Nemirovich-Dancenko, ancora lui. Nel 1896 è uno scrittore di fama, uno dei più importanti intellettuali russi, tanto che l’anno seguente verrà insignito del prestigioso premio Griboedov per il suo dramma Prezzo della vita, ma lo rifiuterà dichiarando che il premio lo merita Il gabbiano di Cechov. Ebbene ascoltate come si difende il colpevole: “Può darsi che tu abbia ragione di avercela con me per averti costretto a scrivere per il teatro. Tuttavia, resto dell’idea, e sono pronto a sostenerla ovunque apertamente, che è la nostra scena, con tutte le sue assurde convenzioni, a essere arretrata decenni rispetto alla letteratura, che è una vergogna e che la gente di teatro deve svegliarsi e mettersi al passo.” Cechov non è solo, anche un altro intellettuale la pensa come lui. Forse qualcosa, lentamente, sta cambiando. In quel periodo Nemirovich-Dancenko è alla ricerca di un teatro a Mosca dove poter allestire spettacoli con i suoi allievi del Conservatorio che si sono già distinti nella prima messa in scena di un dramma di Ibsen.
Nemirovich incontra un giovane attore amatoriale, un mercante di stoffe di trentatré anni, con i capelli già grigi, molto ambizioso, il suo nome è Konstantin Alekseev. Ma quando recita e dirige la sua compagnia amatoriale chiamata “Società degli Amanti dell’Arte”, egli preferisce camuffarsi dietro lo pseudonimo Stanislavskij. I due si incontrano il 21 giugno del 1897 alle due del pomeriggio allo Slavjanskij Bazar, un ristorante di Mosca. La loro chiacchierata dura circa diciotto ore e termina alle otto del mattino seguente a Ljubimovka, nella dacia di Stanislavskij. Dopo questa lunga chiacchierata, i due decidono di fondare il “Teatro d’Arte di Mosca” che inizialmente si chiama “Teatro della gente”.
©Matteo Tarasco