La donna si fermò sulla soglia del locale gettando uno sguardo rapido attorno: la sala della caffetteria-osteria della stazione ferroviaria era gremita di viaggiatori che in quel momento stavano pranzando, ma le ci volle solo una manciata di secondi per individuare il posto migliore per sedersi.
Stringendo la borsa nera al petto, avanzò verso il centro della sala:
– Mi scusi – mormorò la donna.
L’uomo, corpulento, sulla settantina, vestito con un decoro che sfiorava l’eleganza, sollevò gli occhi dal giornale che stava leggendo per appuntarli sulla figuretta snella e dimessa della ragazza.
Quanti anni poteva avere? Venticinque, forse qualcuno in meno, ma era difficile dirlo con precisione. Aveva un viso affilato e stanco, un abito che aveva visto tempi migliori e uno sguardo spaventato.
L’uomo le sorrise, rassicurante: mi dica, signorina.
La donna abbassò di nuovo lo sguardo: spero non mi trovi maleducata, ma tutti i tavoli sono occupati, ho proprio bisogno di sedermi e di bere qualcosa, e lei ha l’aspetto di una persona perbene.
L’uomo sorrise, ripiegò il giornale, si alzò e le scostò la sedia dicendole: ma prego, signorina, ma prego...
– Signora, precisò lei con un mezzo sorriso.
– Ragionier Edmondo Riboni, si presentò lui con un filo di enfasi.
– Cosetta Maggi, rispose la donna tendendogli la mano pallida e magra.
Mentre scambiavano convenevoli, un cameriere raggiunse il loro tavolo con l’ordinazione del ragionier Riboni: un enorme piatto di pasta al sugo. Con un pregiato gioco di equilibrismi, il ragazzetto riusciva a portare contemporaneamente il piatto, il fiasco del vino rosso e un cestino di pane.
– La signora desidera? disse il solerte cameriere con una pesante inflessione bolognese.
– Un caffè di cicoria, rispose la donna, arrossendo leggermente.
Il ragazzetto schizzò via per raccogliere altre ordinazioni.
Al ragionier Riboni non sfuggì lo sguardo famelico di Cosetta verso il suo piatto di pasta.
I loro occhi si incrociarono sulla tavola; l’uomo non aprì bocca, ma la donna si sentì in obbligo di giustificarsi: è che oggi non ho molta fame, ma qualcosa di caldo mi farà bene allo stomaco…
Il balbettio imbarazzato della giovane intenerì l’uomo.
Era evidente che la donna era affamata ed era altrettanto evidente che non aveva i soldi per potersi permettere un pasto decente.
– Il caffè a stomaco vuoto non l’aiuterà di certo, anche se di cicoria. Prenda un pezzo di pane: guardi quanto ce n’è nel cestino…
Cosetta arrossì e balbettò qualcosa, ma non prese il pane.
Il ragionier Riboni richiamò il cameriere con un gesto della mano: un piatto di pasta anche per la signora, ordinò senza esitazioni.
La donna sollevò la testa di scatto: la prego, non è il caso, davvero…
L’uomo cercò di calmare Cosetta: non ci pensi, mi fa piacere, potrei essere il suo papà, anzi suo nonno…
I minuti che seguirono furono uno scambio di scuse e di convenevoli e di timidi sorrisi.
Insieme alle uova al tegamino del ragioniere, arrivò il piatto di pasta di Cosetta e la giovane vi si avventò, divorandolo letteralmente.
Anche per lei, al piatto di pasta fecero seguito le uova e mezzo bicchiere di rosso.
– Il vino rosso fa buon sangue, esclamò gioviale Riboni.
Cosetta, finalmente rilassata, sorrise. Il cibo e il vino avevano dato rossore alle sue guance: aveva un’aria più sana e meno timorosa.
– A che ora parte il suo treno? chiese la giovane.
– Eh, ripose lui, ancora una mezz’ora almeno. E’ la coincidenza per Milano. Pensi che sono in viaggio da questa mattina alle 6. La guerra, maledetta guerra…ha devastato questo povero paese. Non abbiamo più nulla, tutto da ricostruire.
La ragazza annuì.
– Vado per lavoro, sa? Ho una piccola azienda che produce viti e bulloni e ho appuntamento con un grosso imprenditore di Milano…E lei invece dove va, se posso chiedere?
– A Roma – rispose Cosetta –Vado al Ministero della Guerra.
Il viso della giovane donna si rabbuiò e l’uomo non osò farle domande.
– Mio marito…mio marito…
La donna fece una pausa, poi sollevò la testa e guardò il suo commensale.
Non disse “è disperso”. Disse “è uno di quelli che devono ancora tornare”.
Ci fu ancora un silenzio denso e malinconico.
– Perché tornerà, sa? Io lo so che tornerà. Ci ama troppo per lasciarci soli.
Poi prese fra le dita il ciondolo che le pendeva sul petto: lo aprì e mostrò all’uomo la miniatura di un bambino sorridente.
– Nostro figlio, spiegò, e il viso le si illuminò di colpo.
– Giuseppe, come suo nonno. Sette anni a luglio. No, mio marito non ci abbandonerà. Lo devo dire, a quelli del Ministero, di cercare, di provare…mio marito non è morto. E’ uno di quelli che devono ancora tornare.
Poi si abbandonò contro lo schienale della sedia con un sospiro, come se avesse compiuto uno sforzo fisico immenso.
– È un viaggio lungo – osservò lui – non dovrebbe farlo da sola. A Roma ha qualcuno che la può aiutare?
– Ho una cugina che mi ospiterà per qualche giorno.
– Non deve essere stato facile crescere un bambino da sola…
– Ho ancora mia mamma, che mi aiuta. Non stavamo male, prima della guerra, sa? Avevamo un piccolo laboratorio di sartoria. Ma poi…
Guardando l’orologio da parete del locale, l’uomo ebbe un piccolo sobbalzo: mi perdoni, signora, ma devo scappare o rischio di perdere il mio treno.
Raccolse il giornale, il cappello, una piccola valigia in pelle, poi tirò fuori dalla tasca del panciotto un portafoglio e ne estrasse alcune banconote. Con discrezione, le appoggiò sul tavolo, sotto al tovagliolo.
Cosetta spalancò gli occhi dallo stupore.
– La prego signora, non mi giudichi male, non si offenda, non le voglio mancare di rispetto. Permetta a questo povero vecchio di fare un piccolo regalo a una mamma e a un bambino che aspetta il suo papà.
– Non posso accettare.
– Mi lasci spiegare…vede, signora, io ho sempre mancato gli appuntamenti con la storia. Ero già troppo vecchio per la guerra del ’15-18, figuriamoci per questa. Ho visto partire amici più giovani e figli di amici. Li ho visti sacrificarsi per la loro Patria, per la loro terra. Chi ha dato la vita, chi un arto, chi è tornato integro nel fisico ma non nello spirito. Io…io sono rimasto a guardare. Mi vede? Ho 70 anni, potrei ritirarmi in campagna, smettere di lavorare, ma in verità muoio dalla voglia di aiutare il mio paese a risollevarsi. Ho voglia di vederlo brulicare di gente che lavora, gente che fa e produce. Gente sana, ben nutrita, che non ha più paura della guerra, della miseria e delle bombe. Lei, signora mia, ha dato tanto. Lei, il suo piccolo, suo marito…accetti questa inezia di denaro e mi permetta di illudermi di aver fatto qualcosa per un mio compatriota.
Cosetta tirò fuori dalla borsa un fazzolettino e se lo portò al viso. Dalla bocca le uscì un “grazie” appena sussurrato. L’uomo sorrise, la salutò e passandole accanto le posò una mano sulla testa.
Poi si avviò veloce verso l’uscita.
La ragazza infilò le banconote nella borsa.
Attese di veder scomparire la figura di Riboni, inghiottito dal sottopasso ferroviario, quindi consultò l’orologio a pendola del locale.
L’ una e dieci. Ottimo. Poteva azzardare un secondo passaggio nella trattoria all’angolo. Si alzò, sistemandosi la gonna e il cappellino.
Giocherellò per un attimo col ciondolo e sorrise: quel gingillo da poche lire era stato un ottimo investimento e in pochi resistevano alla storia del piccolo Giuseppe e del suo povero papà disperso in guerra.
Bologna era una buona piazza, ma ancora un paio di giorni e poi si sarebbe spostata, probabilmente a Torino.
Sì, si disse soddisfatta guardando il ciondolo che racchiudeva il ritratto di un ignoto infante, proprio un buon investimento.
©Viviana Gabrini, 2015 (tratto da I fili di Arianna, Primula Editore)
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