Hikikomori di Robera Fava

Giro per casa solo quando non c’è nessuno. Mio padre sa tenere le distanze, invece da mia madre devo stare alla larga. So che potrebbe prendermi alle spalle e stringermi.
Non sopporterei le sue mani.
Uscirò di casa solo quando avrò la certezza che agli esseri umani sono cadute le mani, così, come fosse una cosa normale, come le foglie cadono dagli alberi.
Se per una notte soltanto quelle mani ripugnanti non venissero a farmi visita, allora potrò smettere di sentirmi sbagliato.
Da un anno delle dita grasse e sudate, che sembrano salsicce, si intromettono nei miei sogni; entrano prepotenti senza bussare; strappano i vestiti lasciandomi nudo. E poi cominciano la loro profanazione: palpano, stringono, sfregano, spingono, entrano.
Sono due, poi quattro, poi sei, poi non le conto più.
Mi sveglio sudato. Il cuore va mille e mi manca il respiro.
Non grido più come facevo le prime volte. Vado a fare la doccia. I ragazzi normali la doccia la fanno dopo l’allenamento di calcio o di basket. Io la faccio di notte, tra le due e le quattro.
Non aspetto che arrivi il getto caldo, prendo subito la spugna e il sapone e inizio a strofinare. Non trascuro nemmeno un poro, perché le mani sono arrivate dappertutto. È il mio corpo a dirmelo. A furia di strofinare, quelle mani, che allora hanno fatto razzia, si ritirano.
Dopo la doccia devo sforzarmi di resistere alla tentazione di andare dai miei genitori e abbattere il muro di silenzio e di vergogna che ho eretto attorno a me. Per questo mi rifugio nel web. Con un click volo dall’altra parte del mondo, scrivo sui social, vivo. Sono Tom, un ragazzo inglese che sta in Erasmus in Australia; o magari Giulio, pittore cinico in viaggio per il cammino di Santiago. Sono chiunque. Sono altro. Per qualche ora mi dimentico di non aver avuto coraggio. Dimentico di aver perso le parole e di saperle pronunciare. Dimentico di non poter ammettere.
Non posso ammettere di avere perso.
Non posso ammettere di essere stato un oggetto.
Non posso ammettere che all’inizio mi piaceva.
Perché c’erano solo le mani di Matteo.
Dopo, però, sono arrivati gli altri.
Rideva.
E tutto è crollato.

©Roberta Fava, 2019
©Immagine di Irene Gattini

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