PUNTI DI VISTA
Dal punto di vista del figlio di lei, il treno è sporco, fa caldo, sono in ritardo e sua madre ha sul volto un’espressione assurda. Lei ha iniziato a stranirsi qualche giorno prima, quando suo padre li ha chiamati per chiedere che lo raggiungano al nord. Sono in ferie, ci facciamo un giro in montagna, venite a trovare i nonni, andiamo per musei, Torino è bellissima. E adesso lei liscia la stoffa dei pantaloni azzurri, di lino, e fa finta di non guardare il cellulare che guarda in continuazione. Durante l’estate ci sono stati giorni in cui il figlio l’ha vista giovane e quasi bella. Obiettivamente, quando suo padre è lontano lei sta meglio. Adesso sua madre invece ha gli occhi rossi e tutto il corpo teso a comunicare una sensazione di tranquillità che non possiede. Fa caldo, dice con un filo di voce. Lui alza gli occhi dal cellulare e dietro i Persol annuisce.
Dal punto di vista di lei, c’è un solo punto reale sulla carta geografica mondiale, ed è la stazione che raggiungeranno di lì a pochi minuti. Ha caldo, ha freddo, ha bevuto una birra ghiacciata e mangiato un panino quando sono partiti. Poi ha vomitato tutto nella toilette del treno. Senza fare rumore, cercando di non insospettirlo. Suo figlio le ha fatto notare che ha gli occhi rossi. Sto troppo davanti al computer, è stata la risposta. Dal bagno ha scritto al suo amore che passerà dalla stazione alle 15. La stazione dei suoi arrivi e delle sue partenze. Mai dei transiti, fino ad oggi. Lui le ha risposto che a quell’ora deve preparare il pranzo a sua figlia, di ritorno proprio quel giorno da una vacanza estiva. Non importa, ha risposto lei. Ma no, forse potrei. Non vale la pena, non provarci nemmeno. A che serve. Comunque sono nella carrozza numero nove.
Dal punto di vista della figlia di lui, suo padre è un pazzo. È venuto a prenderle al bus, le ha catapultate a casa, lei e la sua amica del cuore, di ritorno da un viaggio di otto ore, non ha dato loro nemmeno il tempo di dire ciao, le ha messe con i piedi sotto al tavolino, forza forza, chissà che fame avrete, e ha tirato la zuppiera con la pasta fumante sul tavolo. Poi con un’espressione falsissima, mentre buttava giù un bicchiere di vino rosé bello freddo, ha esclamato di essersi dimenticato un appuntamento con un cliente. Oddio che sbadato. Alle ore 15 del 13 agosto con quaranta gradi all’ombra suo padre non andrebbe a incontrare nemmeno Enrico Berlinguer, che gli piace tanto, anche se non è più vivo. Questo pensa la ragazza, servendosi un secondo piatto di pasta, mentre suo padre scende le scale due a due, tre a tre, stretto in mano un piccolo libro, chissà cos’è.
Dal punto di vista di lui non c’è niente da fare. C’è solo da correre alla stazione in tempo per veder passare il treno. Dentro al vagone numero nove c’è la sua donna che non è sua, e lui la vuole rivedere. Sta andando a passare le vacanze con il marito. Lui pensa che, se ce la farà, magari le cose tra loro cambieranno in meglio. Succederà qualcosa, come in un vecchio film di Frank Capra. In condizioni normali avrebbe circa cinque minuti a disposizione, ma mentre la pasta cuoceva ha controllato sul sito di Trenitalia maledetta e benedetta, e il Frecciabianca ha dieci minuti di ritardo. Binario numero due. Percorre la strada in città a ottanta all’ora e già sa che ne perderà il ricordo, si ritroverà alla stazione come piovuto dallo spazio. È felice e sta malissimo. Ha con sé quel piccolo libro, andrà tutto bene.
Dal punto di vista del capostazione mandare un annuncio al posto di un altro è cosa trascurabile. A chi vuoi che importi se i vagoni dal cinque al nove sono in coda o in cima al treno. L’annuncio è partito al contrario e il treno è capovolto, ma chi sale può farlo in qualsiasi punto, e percorrere dentro al treno la distanza che lo separa dal proprio vagone. Chi aspetta, comunque ritroverà la persona che sta aspettando. Pazienza. Trenitalia non sa che avere l’informazione giusta per qualcuno può essere vitale.
E infatti c’è quel ragazzo, quell’uomo, quel cristo piccino con quel libro piccino stretto tra le mani, stretto addosso come fosse un salvagente, che è andato nella direzione sbagliata, e adesso che capisce l’errore, corre, corre. Fino al vagone numero nove. E lì sul predellino c’è una donna con gli occhi rossi, che ha appena detto a suo figlio vado a prendere una boccata d’aria, non sto bene.
L’uomo la guarda, lei non scende, non c’è più tempo. Non si possono nemmeno toccare. Non si dicono niente. Lui sul marciapiede, lei sul treno. Mimano ti amo con le labbra. Piangono entrambi. Provano anche a sorridere. Lei vede che lui ha portato il piccolo libro. Qualcosa che solo loro sanno. Stringono il pugno al petto, in segno di saluto.
Davvero non c’è più tempo, si chiudono le porte. Il treno riparte.
© Roberta Lepri, 2016