Fuori è tutto bianco

FOTO BOSCO NEVE di KURT BOUDA da PIXABAY
 

Fuori è tutto bianco, si vede solo neve da tutte le parti. Anche gli alberi sono tutti bianchi e carichi, ogni tanto qualche ramo per il peso viene giù, fa un crac forte e poi uno sploc molle, quando affonda nella neve alta. Perché la neve pesa un casino. Lo so, il nonno dice che un bambino non deve dire un casino, che è una parolaccia, ma Franco lo dice sempre. Quando tagliava la legna con l’ascia e un ciocco gli è caduto sul piede ha detto anche cazzocazzocazzo. Mi faceva ridere, perché saltava su un piede solo, tenendosi l’altro con le mani. Poi il nonno l’ha sgridato e allora ha smesso. Però quando mi ha visto ridere rideva anche Franco, con il piede a bagno nel secchio con l’acqua fredda per non farlo gonfiare.

È pomeriggio, credo. L’orologio sul muro ha la pila scarica e non funziona più. E da quando il generatore si è rotto, non possiamo più ricaricare il cellulare, quindi non so bene che ora è, ma se salgo sulla sedia riesco a vedere l’ombra che fa la staccionata e mi sembra proprio pomeriggio, perché all’ora di pranzo l’ombra è corta, invece adesso è lunga e arriva fino alla porta della legnaia. Fra un po’ è buio, devo accendere la candela. Per fortuna di candele ne abbiamo tante, nel cassetto della cucina. I fiammiferi sono finiti, ma io le so accendere anche con l’accendino, mi ha insegnato il nonno. Devo fare attenzione, perché se premo troppo forte la rotellina mi fa male al pollice, però ci riesco quasi sempre al primo colpo. Beh, forse al secondo. Però quando ero più piccolo dovevo provare cinque o sei volte, che il nonno si scocciava e diceva faccioiochemiscarichituttoilgas. Lo uso per la candela e anche per accendere la stufa, l’accendino, così posso scaldare e fare da mangiare. Non è difficile, basta aprire una scatola. Con le dita non ci riesco, ma prendo una forchetta, la infilo nell’anello e tiro su. Poi rovescio nella pentola le lenticchie, i ceci, i piselli o i fagioli e metto sopra la stufa, si scaldano subito. La carne in scatola ormai è finita e anche il tonno, peccato. Mi piacerebbe tanto fare la pastasciutta, ma non sono capace. Franco la faceva sempre, e anche il nonno, prima della malattia. Al sughetto rosso con le cipolle, mmmmmh. È che sono un po’ stufo, di mangiare sempre le stesse cose.

Al mattino però prendo il latte con il pane.

Quando il nonno stava bene e Franco era ancora qui, appena sveglio il profumo del caffelatte mi entrava nel naso e mi faceva venire subito fame. Così mi alzavo, mi sfregavo gli occhi e mi sedevo a tavola in pigiama che ancora sbadigliavo, davanti alla scodella che fumava, con le fette lunghe di pane scuro che il nonno aveva messo sulla stufa. Erano morbide, ma anche croccanti. Buonissime. Adesso però il pane è quasi finito. Il sacco di stoffa a quadretti bianchi e blu sul muro di fianco alla stufa, prima era tutto gonfio e faceva un’ombra grassa sul pavimento, ora è quasi vuoto e l’ombra è solo un triangolino.

Ma tanto da quando Franco è andato via il caffelatte non lo prendo più, perché non sono capace di usare la moka. Peccato, era così buono il sapore del caffè mischiato con il latte e un cucchiaino di zucchero. Spero che Franco torni presto con le provviste. È già un po’ che se n’è andato, mi sembra che da quando è andato via sono andato a dormire tre volte, cioè tre notti. O forse quattro.

Quella mattina mi ero appena svegliato e Franco era già in piedi, pronto per uscire. Si è messo il giaccone pesante e gli scarponi, poi si è avvicinato e si è fermato un momento a guardarmi, con la testa piegata. Io ho pensato che mi voleva dire qualcosa, invece mi ha passato una mano veloce tra i capelli, come una specie di carezza. Graffiava un po’, per via dei calli, però mi è piaciuta. Non l’aveva mai fatto, prima. Poi si è messo il berretto di lana, ha fatto un cenno con la testa al nonno ed è andato via, chiudendo subito la porta, se no in un momento l’aria fredda succhiava fuori tutto il caldo. Nevicava tanto, proprio come adesso.

La tormenta soffia forte, il vento fa un verso come qualcuno che urla, solo che non c’è nessuno. Forse i lupi, ma io non li ho mai visti, anche se il nonno mi ha insegnato a riconoscere le orme, quando riusciva ancora a camminare.

Il vetro della finestra è ghiacciato, se ci passo sopra il dito faccio una striscia e mi rimane il ghiaccio sotto l’unghia.

Fuori, le impronte delle racchette di Franco non si vedono più, la neve ha coperto tutto già dal primo giorno, anche il tetto della legnaia e il ciocco dove Franco spacca la legna con l’ascia.

Mentre preparo le strisce di giornale per accendere la stufa, mi sembra di sentire un rumore dalla camera del nonno. Guardo se la maniglia della porta si muove, invece no, mi sono sbagliato. Forse era un ramo rotto, che il vento ha sbattuto contro il muro. O è il legno della casa che parla, come dice il nonno.

Però un rumore adesso lo sento davvero: è il mio stomaco, che brontola perché ho fame. Ma è ancora presto. Ho pensato che faccio che non è ora di mangiare finché l’ombra fuori non arriva alla cuccia di Lupo, così non mi sbaglio e mangio tutti i giorni alla stessa ora. Quando Franco torna e glielo racconto credo che mi dice che sono stato bravo a pensare questa cosa. Come un grande. Solo che quando non c’è il sole come adesso, non è tanto facile vedere l’ombra. Però mi sembra che è lontana dalla cuccia, devo aspettare ancora un po’. Che poi la cuccia è lì, coperta di neve, ma Lupo non c’è più. Un giorno si è staccato dalla catena ed è scappato, ha detto il nonno, ma io non l’ho mai visto, era tanto tempo fa. Forse è andato con i lupi veri. Chissà se ha freddo, lì fuori.

Io ho il maglione pesante e ho messo anche la sciarpa del nonno – ha detto che tanto a letto non gli serve – però ho un po’ freddo lo stesso, soprattutto ai piedi, alle mani e anche al naso. Domani devo andare a prendere della legna in legnaia, che qui è quasi finita, invece là ce n’è ancora. Però devo fare attenzione, devo farla durare fino a che torna Franco. Così faccio che non accendo la stufa al mattino quando mi alzo, ma solo dopo, per scaldare da mangiare, e poi alla sera prima di andare a letto. Anche se veramente a letto ci sto quasi sempre, perché fa più caldo. Mi metto lì con i Lego e i giornalini sparsi sulla coperta e gioco, o guardo i giornalini. Non posso fare nient’altro, perché i video giochi e il cellulare senza l’elettricità non vanno più. I giornalini sono quelli vecchi di quando Franco era piccolo, ma non importa, hanno delle belle figure colorate. Io non sono capace di leggere le parole, ma tante di quelle storie me le ha lette il nonno e qualche volta anche Franco, se non era troppo stanco dopo il lavoro, così quando guardo le figure me le ricordo.

Ogni tanto mentre guardo i giornalini mi addormento, perché sotto le coperte non fa freddo. Quando non dormo, penso. Ho anche provato a cantare, ma senza la musica non mi viene bene, e poi ho paura di svegliare il nonno. Così mi metto a pensare a tante cose, ma soprattutto all’estate, quando c’è il sole caldo, l’erba verde e andiamo a raccogliere le fragoline e i mirtilli. Penso anche a Franco. Sono sicuro che quando torna è contento di me e mi dice che sono stato bravo, a fare da mangiare e accendere la stufa. E anche a lavare i piatti e i bicchieri. Veramente, un piatto e un bicchiere solo, perché il nonno da quando dorme non mangia più.

Certo che è strano.

Sono già passati dei giorni, da quando mi ha detto che mi doveva parlare. Era da tanto che non si alzava più dal letto, solo per andare in bagno, e si appoggiava alla mia spalla come a un bastone, che mi faceva anche un po’ male. Quando poi tornava a letto si addormentava subito, perché era troppo stanco. Ma quella sera – perché era sera, il sole era già andato giù dietro il pino grande – invece di girarsi e dormire come al solito, mi ha tirato vicino e mi ha detto tutte quelle cose. Parlava così piano che ho dovuto sporgermi vicino vicino alla sua bocca, per riuscire a sentire. Ha detto che era tanto stanco, che sicuramente tra poco si addormentava, ma prima doveva spiegarmi delle cose, che ormai ero un bambino grande e potevo capire.

Mi ha detto quando il nonno si addormenta e non si sveglia neanche se lo chiami e gli tiri la manica, allora devi fare delle cose importanti, cose da grandi. Me l’ha detto due volte, forse per essere sicuro che me lo ricordavo. Ha detto che prima di tutto devo prendere dalla camera del nonno tutte le coperte dell’armadio e portarle sul letto mio, in cucina.

Poi devo chiudere bene bene la porta della camera, finché sento il clac della maniglia. Dopo devo lasciarlo dormire e non aprire più la porta, neanche per vedere se si è svegliato. Ha detto che se si sveglia viene in cucina, di non disturbarlo per nessun motivo e lasciarlo dormire. Mentre diceva questo mi guardava negli occhi e mi stringeva la spalla con la mano, che anche sotto il maglione pesante mi faceva un po’ male, però non gliel’ho detto, perché non lo faceva mica apposta.

Poi ha devo di fare attenzione alla stufa, che ormai ho quasi sei anni e sono capace, devo accenderla solo quando ho proprio freddo freddo o devo cucinare.

E se vado a prendere la legna, prima di uscire devo vestirmi bene, mettere il cappello con il paraorecchie e gli scarponi pesanti. E chiudere bene la porta, perché il caldo scappa via subito, e tenermi con una mano alla corda che ha messo Franco, perché se viene la nebbia rischio di perdermi e non trovare più la porta di casa. Parlava adagio, come se faceva fatica, era proprio tanto stanco. E mi ha chiesto un sacco di volte hai capito bene? Io gli ho detto sempre sì nonno.

E quando gli ho detto ma tanto tra poco arriva Franco con le provviste e a prendere la legna ci può andare lui, ha fatto un sorriso un po’ storto e ha allungato la mano sopra la coperta per farmi una carezza, ma era così stanco che il braccio gli è caduto subito giù sul letto. Poi mi ha guardato ancora un momento, ha chiuso gli occhi e si è addormentato, addirittura con la bocca aperta. Così di colpo, che ho dovuto mettergli io il braccio sotto la coperta, che se no prendeva freddo.

Adesso è già passato tanto tempo, ma il nonno continua a dormire. Ogni tanto mi viene la voglia di andare a vedere se si sveglia, ma ho promesso che non lo facevo. Però almeno voglio sapere quanti giorni sono, che dorme, così lo posso dire a Franco. Allora ho pensato che tutte le mattine, quando mi alzo, prendo un coltello e faccio un segno sulla porta, ma piccolo, che quando Franco torna non mi sgrida che ho rovinato il legno. Così sono sicuro di quanti giorni sono passati. Perché anche se non vado ancora a scuola, a contare sono capace. Solo fino a dieci, però, anzi undici, dopo l’undici mi confondo. Ma tanto sono sicuro che Franco arriva, prima dell’undici. Oppure si sveglia il nonno.

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